Da un po’ di tempo a questa parte Susie Ibarra rappresenta una delle figure più interessanti della scena newyorkese. Nata in California (con origini filippine) passata per il Texas, stabilitasi definitivamente a New York studia percussioni e batteria, frequentando una tra le figure più importanti del free jazz come Milford Graves.
‘Flower after flower’ uscito per la Tzadik colpisce non tanto per un impatto ostico ma quanto per la sua morbidezza e linea melodica sottile e frastagliata al punto giusto. La Ibarra sembra che non abbia badato a complimenti nello scegliere l’ensemble che spazia dalla tromba di Wadada Leo Smith al clarinetto di Chris Speed fino al basso di John Lindberg e addirittura assaporando gli accordi della Oliveros. Apre Illumination e subito ci imbattiamo in atmosfere più che mai aperte e distese, forse un po’ troppo accademiche, dopo di che Fractal One è il primo assaggio solistico della Ibarra la quale conferma di non voler abbandonare le proprie radici ma anche di non concederci nessuna certezza.
Terzo giro con The Ancients dove i rintocchi del kulintang avvicinano l’oriente, e l’idea che Philip Glass aleggi nell’aria lo si sente man mano che i minuti scorrono. Solo accordion per la Oliveros in Fractal Two ed è subito a dominare un suono prolungato ed etereo. Finalmente si passa alla traccia che dà il titolo all’album e l’idea che il gioco cominci a farsi più nervoso lo si intuisce con l’alternarsi fra un ritmo swingato e le improvvise folate di caos dei fiati. Il duo Cooper-Moore si esibisce in una melodia jazzistica con lo stile percussivo del miglior Cecyl Taylor al piano in Fractal 3. Dulcis in fundo Human Beginnings ci regala un tocco esotico e colorato. La Ibarra conclude l’album con un altro assolo in Fractal 4, differente dal primo per l’accelerazione dei battiti, i quali scorrono sottili su questa autostrada percorsa da eventi che ci insegnano che a volte la semplicità è l’ingrediente migliore perché i fiori continuino a crescere.
Voto: 7
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