Ci risiamo. Potrei parlarvi di gemme destinate a brillare non viste, di talenti negletti dalla meschina superficialità del mondo e così via. E’ soltanto che… farei di tutto perché i Ladybug Transistor restassero ignorati. Mi piace immaginare la futura possibilità di ascoltarli per caso in una qualche radio locale in quel di Brooklyn e non ricordarmi dove ho sentito quelle note… spegnare la radio e avere la vaga sensazione di aver vissuto in fondo dolcezze simili, da qualche parte, chissà dove…
Il delizioso pop retrò dei Ladybug Transistor, anacronistica reincarnazione dei fantasmi di Moby Grape e Byrds negli odierni Belle & Sebastian o dei Fairport Convention nei Cousteau più lievi, non è per chi ha il cuore al posto giusto. E’ per chi vive ogni attimo di vita nella maniera più morbosa e (colpevolmente?) autoindulgente. I Ladybug Transistor meritano di esistere grazie a tre soli episodi presenti in “Argyle Heir”: Echoes, suadente viaggio tra canyons melodici verso ordinari tramonti all’orizzonte, Perfect for Shattering cullante motivetto dal soffice groove emozionale, capace di trasformare la vita dell’ascoltatore, per soli tre minuti circa, in un languido cortometraggio color seppia, e infine Nico Norte fumosa ed avvolgente ballad mid tempo intessuta di decadenza dolcemente disperata. Il resto del disco, per quanto i nostri si sforzino di rivisitare l’intera tradizione folk americana, non è purtroppo in grado di distogliervi dai begli occhi del vostro partner ed è destinato a restare brusio di sottofondo insieme al chiacchiericcio del locale. La caratteristica fondamentale di questo quarto capitolo della band statunitense infatti (cui forse concedo un tardivo salvataggio in extremis di The Reclusive Hero), è quella di addolorare l’ascoltatore attento proprio per la mancanza di quel quid che farebbe della musica dei Ladybug un inestimabile gioiello. Per chi è disposto a considerare però, che possedere tutto nella vita è un’ingenua chimera per retrivi qualunquisti, e che un’intera esistenza è riassumibile in due o tre momenti totalizzanti, “Argyle Heir” diventa (tristemente) definitiva colonna sonora della vita di ognuno.
Voto: 7
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