Concerti (s)connessi…
Ad aprire la data milanese dei Trumans Water ci sono gli italiani Milaus, freschi di contratto con la milanese Cane Andaluso e intenti a suonare il più possibile in giro per la penisola. Sono un buon gruppo nelle cui sonorità riecheggiano i suoni delle chitarre americane contemporanee. Ma la cosa più importante è che tutti i componenti si trovano in perfetta sintonia tra di loro e questo traspare nell’esecuzione. Però quando arrivano i Trumans Water è tutta un’altra storia. Dopo pochi minuti non ti viene da pensare “assomigliano a…”, “sono bravi…”. L’unica cosa che pensi è che questi spaccano. E se anche emergono inflessioni di altri gruppi (US Maple, Old Time Relijun, ecc.) il sospetto di plagio si schianta contro la consapevolezza che i Trumans Water sono arrivati prima e sono stati loro a influenzare tutti gli altri. La formazione è ormai ridotta a tre unità, tuttavia rimangono come sempre sconnessi, distorti, fuori di testa, dissonanti, ma anche sottilmente raffinati nelle loro citazioni jazz. Pochi fronzoli: due chitarre, due amplificatori, una batteria, effetti zero. Dopo due pezzi parte una corda della chitarra. Intanto che il chitarrista la cambia il concerto prosegue e parlare di accordatura in mezzo a quella coltre di rumori è un vero e proprio eufemismo. Dopo un po’ si rompe un’altra corda della stessa chitarra e puntualmente gli altri due elementi continuano il concerto come se niente fosse. E il secondo chitarrista mentre cambia la sua corda si mette anche a cantare con il plettro in bocca. Parola mia, mai visto tipi più sbragati. A loro si aggiunge per gli ultimi pezzi un quarto componente per eseguire qualche pezzo dei Soul Junk, progetto parallelo dei Trumans. Il suo apporto si limita a una tastiera demenziale che suona al di fuori di un qualsiasi contesto musicale, ma bene si accoppia con gli altri due generando una musica senza capo né coda di estrema dissonanza.
Massimiliano Osini