Erano agli albori degli anni Ottanta, il punk era tramontato da un po’ e la new wave infuriava quando il synth-pop fece la sua comparsa. Era l’epoca di “Just can’t get enough” dei Depeche Mode, “Don’t you want me” degli Human League”, di “Tainted love” dei Soft Cell, di “Souvenir” degli O.M.D. e, naturalmente, della mitica, esuberante, incontenibile “Blue monday” dei New Order, tanto per ricordare il nome di qualche gruppo e il titolo di qualche canzone che per sempre soggiorneranno nel cuore e nella memoria di chi, come chi scrive, all’epoca era poco più che adolescente, iniziava ad ascoltare musica e aveva ancora una vita intera e piena di speranze davanti a sé.
Erano tempi eroici: la musica elettronica era soltanto agli inizi e, ai giorni nostri, quelle melodie semplici e scarne possono per certi versi apparire pervase da molta approssimazione e da un eccessivo e ingenuo giovanilismo. Ma solo in apparenza. In realtà erano attraversate da, e vissute con, uno spirito pionieristico che donava loro una incontenibile immediatezza, che di lì a poco cominciò tuttavia a svanire in fretta per effetto dell’ormai imperante culto dell’alta fedeltà, che finì col trasformare il rapido progresso tecnologico (cosa in sé non negativa, anzi) in un opprimente strumento di sofisticazione, manierismo e omologazione.
In soccorso dei nostalgici dei bei tempi andati viene oggi un trend a medio/bassa fedeltà, nato e sviluppatosi rapidamente nel corso degli anni Novanta negli ambienti dell’indiepop, che risponde all’appellativo di “casiocore”, dal nome delle tastiere alle quali molti dei musicisti che si riconoscono in questo filone hanno giurato fedeltà cieca e assoluta. E per consentirci di avere una panoramica più che esaustiva sul fenomeno in questione, due etichette indipendenti americane (la longeva e onnipresente californiana Blackbean and Placenta e la più giovane ma già ben nota North of January di Burlington, Vermont) ci offrono una bellissima compilation che racchiude ventiquattro (sì, avete letto bene, ventiquattro – è una vera e propria festa) brani rigorosamente casiocore di altrettante band, americane, europee, giapponesi e australiane.
Fanno la loro comparsa nomi assai noti del panorama indiepop, se non proprio oggetto di culto, accanto ad altri meno conosciuti e che tuttavia promettono assai bene.
Prevalgono brani di puro casiocore, piccole gemme registrate a quattro piste nel soggiorno di casa, come la romantica “Wink that eye” di A Boy Named Thor, la statica e sussurrata “I wish” dei belgi Wio, “Firemen’s field day parade” di Trendlenberg, “Julianne” dei Nixon, la spaziale “Early morning mystic” di Orange Cake Mix, la sinuosa e ballabile “Devil in your heart” di Six cent and Natalie (al secolo Sean Tollefson dei grandi Tullycraft, radiosa meraviglia guitar pop che da anni illumina la grigia e piovosa Seattle), “The dissenters have risen”, della micidiale accoppiata Steward (ossia Stewart Anderson degli storici Boyracer)/Cannanes (veterani, e ormai vere e proprie divinità, della scena indiepop australiana), la rarefatta “Ascend in faith” dei Princeton Reverbs Colonial, l’ironica e scanzonata “Why didn’t my parents buy me a Casio?” dei Micromars, “Lightness and weight” degli inglesi Girlboy Girl e l’assurda “Autistic tune” dei giapponesi Toughluck, Trashcan!.
Non mancano tuttavia commistioni tra casiocore e tradizionale indiepop chitarroso, come nel caso di “Crimewave”, dei dreampopsters newyorkesi Garlands e di “The honey industry” dei defunti Rabbit in Red di Philadelphia (la cui formazone consisteva di Jenn Turrell, oggi solista e anche componente dei Boyracer, e Jayme Guokas, ora negli Snow Fairies, ex Skywriters) e di “Tokyo Casio freak” dei giapponesi Aikagi.
Sono infine da segnalare alcune sorprese, quali il “casiofolk” di Will Simmons (“Tonight – peace corps drug experience) e il casiocorenoise dei Gang Wizard (“Friend”).
Irriverente, sbarazzino, iconoclasta, tecnicamente tutt’altro che ortodosso, tutto quello che volete. E tuttavia sincero, spontaneo, coinvolgente e travolgente. Come quelle canzoni che vent’anni fa ascoltavamo sognanti, convinti che in fondo la vita non sarebbe stata poi tutto questo casino e che un giorno o l’altro la compagna di scuola dell’aula in fondo al corridoio avrebbe incrociato il nostro sguardo e così, anche se per un solo secondo, ricambiato il nostro amore per lei.
North of January – Blackbean and Placenta Tape Club
Voto: 7
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Autore: acrestani@telemar.it