Anticipazione del meglio del meglio della scena elettronica al festival Micronanze – Classico Village RomaMICRONANZE @ Classico Village – Roma
26 – 04 – 02
SALA CLUB
FENNESZ
OPIATE
ALVA NOTO
FENNESZ / OPIATE / ALVA NOTO
Glitch music: il suono dell’errore digitale.
Un’area di sensibilità musicale.
Una questione di qualità.
Le ricette sono molteplici, facili le convergenze quanto evidenti le differenze.
In questo caso Alva Noto e Opiate hanno già collaborato tra loro e attendiamo con curiosità il finale previsto anche assieme a Fennesz
Ad iniziare è Fennesz, dall’Austria, che elabora un pastiche di ondate melodiche composte di armonici, qualche synth, chitarre acustiche, sepolte da altre ondate di rumori, cascate di glitches. E’ un rapporto vicendevole, costantemente una parte lascia spazio all’altra. Nei momenti di pausa, dove è più semplice scorgere l’elemento melodico, d’improvviso ci si ritrova investiti dal rumore che si modula e si fonde al resto. A volte sfugge forse un poco una definizione maggiore di questo rapporto, come se i due elementi volessero mantenersi su due strade parallele.
Il pubblico, seduto a terra, ascolta, senza trovare un appiglio che lo possa condurre al movimento: non è questa la serata adatta, non è questa musica adatta al ballo.
Si diceva prima: è una questione di sensibilità. E’ necessario essere disposti all’ascolto, avere la voglia di comprendere il suono fastidioso di cui si compone l’intera serata.
Di certo più diretta la proposta di Opiate, che lascia spazio alla sua sensibilità melodica, e la lascia andare, la fa evolvere, decollare, ma anche renderla più piccola, ricondurla al sibilo da cui è partito. Ricorda a tratti gli Autechre in questo ma con un fare più intimo. Discreto fa rotolare il glitch fino a renderlo un tempo definito che sorregge il resto dell’impianto. La sua musica si compone di passaggi vocali (altrui) che spezzetta, incolla, sottolinea con un battere mai troppo invadente, ben levigato, pulito e gentile. Da dietro i laptops lavora con aria serena e compiaciuta, con tranquillità non smuove neanche lui gli occhi dai monitors per regalare un cenno a chi è rimasto a sentirlo.
Quando si ferma arriva il vocio dal fondo della sala.
Arriva Alva Noto (Carsten Nicolai), probabilmente una delle personalità di punta della scena, se così si vuole definirla.
La sua esibizione parte con un notevole ritardo, dovuto ad un problema tecnico, che priverà il suo spettacolo dell’elemento visuale. Con l’amaro in bocca inizia ad allineare i suoi suoni che sembrano avere un marchio di fabbrica, il suo nome stampato sopra. Fa abbassare le luci in sala, e il monitor illumina e restituisce a noi il viso concentrato di chi è completamente partecipe, parte integrante della sua musica. I suoi suoni sono qualcosa di freddo, glaciale. Glitches e modulazioni di frequenza che riempiono lo stomaco e le orecchie dal sapore assolutamente digitale. Al buio scorgiamo un uomo ricurvo sullo spettro d’onda del suono, che lo rende profondo ed altissimo. Comunica qualcosa di triste e fiero: dopo aver preso un poco i giri, inizia qualcosa di martellante,teso. Composizioni che si chiudono su loro stesse per poi riaprirsi e manifestarsi con ferma determinazione. Nel DNA di questi suoni c’è l’elemento industrial, e mai mi è capitato di scorgerlo così chiaramente. E di certo industrial in questo momento ha anche l’incedere scuro e implacabile. Da ‘Prototypes’ (Mille Plateaux, 2000) a ‘Transform’ (Mille Plateaux, 2001) avevo notato una evoluzione non tanto nei suoni, sempre inconfondibili, quanto nel battere delle composizione. Un andamento più deciso. Ma in questa occasione sembra di ascoltare martelli che battono e si fermano solo per ripartire ed esaltarsi di più. I bassi, profondissimi, sono il suono dell’alta tensione, elettricità, e riempiono chi ha deciso di fermarsi ad ascoltare. E lo lasciano prima libero di battere il piede, poi anche di abbandonarsi al ritmo che è un vortice in cui anche Alva Noto si lascia cadere. Assistiamo, catturati da una sensazione che non è abbandono, nè malinconia. Piuttosto qualcosa di simile alla disperazione. Una disperazione che si trasforma in rumore, che nasce dal computer, che prende le sembianze di qualcosa di certamente, assolutamente vivo. Emozionante.
Alla fine viene raggiunto dagli altri ed inizia l’esibizione congiunta: una manifestazione di forza. Le aggressioni rumorose di Fennesz si condiscono della propensione di Opiate alla melodia. Ed Alva Noto da qualche parte a mettere ordine. Ma poi si orientano, improvvisando probabilmente, verso un oltranzismo assordante, e aumentano il peso con un magma che ribolle e si espande, il volume è alto e bisogna abbassarlo un po’. Ma così non c’è più tanto gusto: tutti a casa.
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Autori Hegel & Jegel