I Rollerball e gli Ovo al Clandestino ( 22-04-2002 )Aprono le danze gli Ovo che si presentano sul palco come se fossero stati invitati ad una festa in maschera.
Gli Ovo sono Stefania Pedretti e Bruno Dorella accompagnati dalla sezione ritmica dei Rollerball.
Bruno ( avvolto in un saio da frate e con il volto coperto ) è in ginocchio sul palco, perpetuamente chino sulla sua chitarra a manipolare effetti, pigiare pedali, martellare con un cacciavite sulle corde.
Stefania , la voce (vestita da fatina ), si alterna tra violino e chitarra , rivelando una tecnica approssimativa o quantomeno non ortodossa ( penso che non abbia mai fatto , durante il concerto , un accordo che possa essere definito tale ,ma tant’è ).
La sezione ritmica pesta a dovere, ma con precisione, rivelano altresì coesione , energia e buone qualità tecniche, facendo così da collante alla astruso flusso creativo di Stefania e Bruno .
Ad arricchire il tutto ci pensa poi De Leon dei Rollerball con sporadici interventi di tromba.
Nonostante le premesse non troppo rassicuranti il set , una lunga jam dai sapori space -no-wave –frekkadelici , cresce in intensità e si rivela in definitiva assai piacevole e coinvolgente.
Poco dopo giungono sul palco i Rollerball che, nonostante una line up ristretta ai quattro elementi base, riescono a ricreare dal vivo le stesse complesse composizioni che c’è dato ascoltare su disco, giocando magistralmente con i più vari strumenti (tromba, clarinetto, fisarmonica, percussioni varie, violino, campanelle e quant’altro. )e servendosi di qualche sporadico campionamento.
Il set è impeccabile dal punto di vista esecutivo tuttavia i quattro non riescono a catturare, a coinvolgere a dovere.
Sarà per il fare da “gigione” del frontman De Leon , poco prima vestito da “coniglietta in minigonna” durante il set degli Ovo, o per qualche vocalizzo un po’ sopra le righe, ma il concerto non colpisce, non riesce ad emozionare un pubblico che per la quasi totalità del tempo segue distratto uno spettacolo che scivola via senza lasciare il segno.
Manca quella componente onirica, notturna, quasi rituale che aveva fatto tanto apprezzare un lavoro come “Bathing Music” e che era lecito sperare di assaporare anche dal vivo.
Dopotutto il successivo Trail of the butter yeti non è stato in grado di eguagliarne la bellezza.
Un concerto piacevole ma privo di quel feeling che era naturale aspettarsi da una delle più originali e apprezzate band americane.
Andrea Palucci