Fuori il quarto atteso album dei due dj di Washington, tra i pochi a rimanere ai vertici di un suono mai come adesso inflazionato e oramai etichettato genericamente come nu-jazz. Un viaggio, letteralmente, questo disco, dove si attraversano eterogenee fonti sonore sparse qua e la per il globo, tra le coordinate di uno stile indefinibile se non nei limiti di una pulizia ed essenzialità disarmanti.
Ce la mettono tutta stavolta Eric Hilton e Rob Garza, tirano fuori un campionario di influenze che parte dall’Asia, passa per i carabi e arriva diritto al cuore del sud america, con la solita sensibilità lounge che da sempre li contraddistingue e senza tanto disperdersi in ammennicoli ed effetti cosmetici che non siano strettamente necessari all’economia espressiva. E così che prendono forma perle come Omid: Loulou alle prese con downtempo orbitale, i dubbismi accennati di All That We perceive, quelli sognanti di From Creation e quelli cantati del rastaman Notch, superba la sua interpretazione nella traccia omonima al disco. Seguono le latinerie brasilere di Patrick De Santos in Meu Destino e quelle afrocubane di Vernie Verla in Exilio, una ballata manifesto da far impallidire Ibrahim Ferriera in persona, poi quando tutto sembra dissolversi alle prime luci dell’alba succede Until The Morning, quasi un capolavoro, un ipnotica suite notturna in bassa battuta che consacrerà Emiliana Torrini tra le vocalists più versatili e talentuose in circolazione.
Non c’è che dire, questa musica cattura fin dal primo ascolto in un turbinio di odori e umori che nonostante tutto non penalizza una buona consequenzialità fra i rispettivi episodi.
Non esattamente per chi è alla ricerca di nuovi orizzonti sonori ma per quelli che vogliono arredare il proprio salotto, magari nell’eventualità di qualche cocktail party, ci sarà di che accontentarsi per un po’.
Voto: 7
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