Poteva una indie attenta e intelligente come la Matador lasciarsi sfuggire la risposta americana ai Doves, e cioè il folgorante esordio degli Interpol? La risposta ovviamente è no. E infatti cosi non è stato, perchè “Turn on the bright lights”, preceduto giusto da qualche ep, è di fatto un grande esordio, di quelli che lasciano il segno e che durano nel tempo. La band prende le mosse da una solida base new-wawe, cogliendo e metabolizzando le espressioni migliori di quel periodo per poi dar luogo a una propria musica densa e affascinate che mostra si legami col passato, ma che manifesta in ultima analisi la propria personalità e soprattutto statura.
La bravura degli Interpol risiede soprattutto nelle capacità non comuni di combinare toni evocativi con un’abiltà compositiva di gran livello.
L’influenza più notevole nel suono stratificato è senz’altro quella dei Joy Division , tanto nella propensione nel creare atmosfere cupe e malinconiche, ma anche e soprattutto nel cantato: impressionante quanto il timbro vocale sia vicino a quello spettrale di Ian Curtis. Ma è facile riconoscere le chitarre (senza virtuosismi però!) dei Television, le dilatazioni care a piccole leggende come Feelies (qualche buon’anima se li ricorda?) e a grandi maestri iper-influenti come Velvet Underground (potevano mancare?). Il tutto molto spesso mediato dal lirismo romantico e decadente degli Smiths. Insomma un bel miscuglio perfettamente equilibrato sopra al quale si ergono canzoni dall’alto peso specifico, che crescono ascolto dopo ascolto e che come si diceva all’inizio sono qui per restare.
Interpol, ricordatevi questo nome.
Voto: 8
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