Le traiettorie musicali del norvegese Geir Jenssenn, aka Biosphere, hanno finora inevitabilmente condotto la mente degli ascoltatori verso immagini popolate da immense distese glaciali come quelle raffigurate sulla copertina dello splendido “Substrata”. I soundscapes di Biosphere traducono acusticamente istanti congelati legati alla stordente immobilità e purezza dei manti nevosi. Da questo punto di vista, il terzo lavoro di Jenssen su Touch Records segna invece il passaggio ad un sensibile ripiegamento verso luoghi ‘interni’ (reali o psichicamente introiettati che siano). E’ come se dall’algida a-temporalità delle panoramiche ambientali sugli esterni ‘filmate’ dagli album precedenti, “Shenzhou” passasse invece a inquadrare la controparte ‘intima’ della vita di quei luoghi.
Le prime dieci tracce del disco, basate su lavori orchestrali di Claude Debussy (musicista impressionista autore di composizioni dalla forti potenzialità visive) sono un’ode al deep sound più mesmerico. L’essenza del disco vive nel carezzevole torpore onirico che i brani sono in grado di evocare, in una carrellata di tenui immagini indistinte digitalmente stimolate dalle sapienti macchine del nostro. A volte si odono evanescenti bagliori di musica classica. Altre volte sembrano apparire ologrammi di ambienti domestici difficilmente riconoscibili (gli scricchiolii di Ancient Campfire danno una sensazione, oltre che di ‘calore’ analogico legato al richiamo alla puntina dei dischi in vinile, di solitario tepore da caminetto acceso. Altre ancora si avvertono soltanto respiri armonici ripetuti all’infinito (come in Spindrift) o rivoli d’organo indistinti (nell’omonima Shenzhou). Soltanto nelle ultime due tracce la destrutturazione elettroambient di frammenti di musica da camera presente in alcune parti dei brani, riporta l’ascoltatore ad una dimensione più familiare come quella dell’ascolto musicale. Shenzhou è un viaggio nel cosmo ambient (non per niente le note interne rivelano che Shenzhou è appunto il nome di una navicella spaziale) dove al basso volume dei suoni corrisponde il metabolismo rallentato degli audionauti ibernati nell’ascolto. Le visioni che scorrono negli oblò restano puramente mentali. Il trait d’union con Debussy acquista il suo senso proprio da questo punto di vista: come nella musica dell’autore francese le immagini, pur essendo nascoste dentro la musica, non vengono mai veicolate direttamente ma sempre ‘colorate’ dall’immaginazione dell’autore, così Jenssen ricrea in Shenzhou un altrove sonico personalissimo in cui i drones, i sibili e i crescendo/diminuendo armonici non sono altro che parti del grande, ignoto mistero che ci circonda.
Più di un capolavoro di elettronica ambient. Il nuovo album di Biosphere è davvero un ponte acustico verso il proprio io. Irrinunciabile.
Voto: 10
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