Loud sounds from Austin
Monotremata è una piccola ma interessante etichetta stanziata ad Austin, Texas che ha all’attivo alcune produzioni di grande spessore, ma andiamo con ordine.
All’inizio (siamo nel 1994) era Dead Angel, una pregevole rivista musicale cartacea, tuttora attiva come webzine, nata sull’onda dell’entusiasmo e del desiderio di RKF (deus ex machina della Monotreamata) di poter intervistare K. K. Null e i Pain Teens.
L’intervista fu fatta.
Il passo successivo fu l’acquisto di un quattro piste con il quale RKF iniziò ad eseguire le sue prime registrazioni casalinghe (primi embrionali segnali di quello che in seguito divenne Autodidact, solo project di RKF).
Soltanto nel 1998 nasce ufficialmente la Monotremata Records , label votata alla promozione e al supporto di quei progetti che avevano il loro fulcro in un suono heavy, rumoroso, forte che non si sarebbe mai sentito in nessuna radio con un minimo di prospettiva commerciale.
Bands che RKF stimava e con le quali veniva a contatto tramite la sua personale webzine.
Bands che prendono il nome di Gravitar, Southern Gun Culture ma anche rodati sperimentatori come Mason Jones e così via.
In definitiva, scorrendo la produzione, è legittimo dire che non esiste un vero e proprio suono Monotremata (o interesse nei confronti di un genere in particolare) ma indubbiamente esiste un etica Monitremata votata alla promozione di bands dalla forte personalità e un po’ fuori dagli schemi.
Il fatto poi che la label sia stanziata ad Austin porta a pensare importanti paragoni con precedenti realtà cittadine.
In un’intervista, riguardo alla domanda sulle possibili affinità della propria label con un’altra importante texana, la Trance Syndacate, RKF riferisce che entrambe sicuramente producono musica fuori dal comune, sperimentale; la TS con un approccio punk, la Monotreamata con un punto di partenza nel metal.
Sicuramente c’è del vero in tale affermazione ma scordatevi di trovare nel catalogo Monotremata qualcosa che si avvicini minimamente a Manowar o Queensryche.
Il metal per come lo intende RKF è quel suono monolitico, assordante che possiamo ritrovare in band quali Chrome, The Band of Susan, Painteens, o magari nei primi Black Sabbath.
Chiaro no?!
Diamo, ora, uno sguardo in dettaglio al catalogo.
Mason Jones ‘Midinight in the Twilight Factory’
Monotremata inaugura il proprio catalogo con un artista attivo ed apprezzato ormai da diversi anni nell’ambiente avanguardistico, già autore sotto lo pseudonimo di Trance di numerose produzioni, attuale membro della band SubArachnoid Space nonché fondatore della Charnel Records.
Midinight in the Twilight Factory è un album costruito attorno all’uso della sei corde che viene suonata, trattata, modificata, processata, manipolata da risultare il suo suono decisamente distante dal comune modo di intenderlo.
Il risultato è un lavoro che forgia in un’unica soluzione ambient e noise con una suggestiva attitudine cinematografica.
L’album si apre con Stone Clouds un brano nervoso e inquieto dove Mason Jones, in solitaria, si avventura in ardite e movimentate evoluzioni con una chitarra dal suono così dilatato e acido da sembrare quasi un sinth.
Nel brano successivo, In a Warm Place, l’angoscia si fa suono e prende le fattezze di un ambient fredda, rarefatta, dilatata.
Un brano intenso ed toccante, suonato in coppia con Jason Stein al basso.
Twilight Fall è un’altro pezzo in solitario, il più fragorosamente silenzioso e introspettivo mentre Slow, Wide Vibration, il brano che chiude il CD, è una lunga improvvisazione che muta più volte nell’arco dei suoi ventisette minuti di durata.
Accanto a Mason Jones ritroviamo questa volta Kevin Goldsmith al violoncello e Bill Horist, un altro sperimentatore della sei corde, la cui presenza ha inciso non poco nella realizzazione/esecuzione di questa maestosa suite dalle multiforme sfaccettature cromatiche.
Un eccellente esempio di straordinario feeling improvvisativo.
Semplicemente emozionante.
Autodidact ‘Welcome to the Dissonance Engine’
La seconda uscita Monotremata spetta al padrone di casa RKF che incarnatosi nel monito di Autodidact, dopo anni di sperimentazione sulla chitarra e la realizzazione di numerosi prodotti usciti solo in CDR e casetta, esordisce ufficialmente in CD con questo Welcome to the Dissonance Engine.
Il solo project di RKF si apre con The Seduction of Jet Girl, una roboante cavalcata chitaristica in mid-tempo dove calde e dilatate distorsioni si miscelano a flash di rumore bianco.
Qualcosa di molto simile agli imponenti muri di suono di Branca in chiave lo fi.
Nel successivo Descent from Mt.Fuji i toni si placano o, sarebbe meglio dire, piombano in un gelido oblio psichico con uno spietato slow-core dal sapore oppiaceo che si sorregge su un diafano riff che si ripete con circolarità su un emozionale groove in sottofondo.
Si prosegue in questa direzione alternando stranianti ballate lunari a incandescenti impennate rumoristiche, incontrando qualche barlume di luce in Your Skull, stranamente emanante segnali di umana speranza, e in Romance in the Fallout Shelter, impreziosita da delicati quanto impercettibili note di piano.
The Face behind the Shutters è l’unico brano cantato (?).
Voci oltretombali sul consueto riff alla moviola che si ripete all’infinito in un snervante gioco al massacro.
Post (hard) rock dilatato e decellerato, privo di qualsiasi suppellettile inutile.
Se gli Idaho cadessero dal loro abituale spleen malinconico in una catatonica depressione post-traumatica suonerebbero così.
Da maneggiare con cautela.
Gravitar ‘You Must First Learn To Draw The Real’
Il disco in questione è una raccolta di brani registrati nel 1996 rimasti in parte inediti in parte usciti in cassetta.
Cinque pezzi per un totale di circa 48 minuti di delirio catartico totalmente improvvisati in studio (in realtà l’ultimo brano McCoy è catturato dal vivo).
I brani sono lunghi, saturi di feedback, distorsioni, dissonanze, tamburi percossi in maniera animalesca.
In questo magma emerge sporadicamente qualche accenno di disumano vocalizzo che come timidamente nasce subito viene ad essere soffocato dal caos imperante (U.R.R.).
In Rocket to Deaborn un intro vagamente misticheggiante e contemplativa che evolve progressivamente in una infernale cavalcata dai toni apocalittici che dopo circa sedici minuti termina in un vortice di cacofoniche distorzioni, fiati sfiatati, mulinelli elettronici.
Blues for Charlie è l’episodio più irrequieto, giocato sul duetto riff stoppato-urla belluine che lascia poi spazio a sofferti e graffianti assoli di chitarra.
Come i neozelandesi Dead C i Gravitar si muovono in quella zona di confine che lambisce i margini della pura improvvisazione free jazz, del noise chitarristico estremo, della dura psichedelia (in questo caso texana).
Un macigno.
Uno dei pezzi migliori del catalogo Monotremata.
Lo adoro.
Angel’in Heavy Syrup ‘IV’
Angel’in Heavy Syrup sono un incredibile band di origine nipponica (Osaka per la precisione) guidata da tre graziose ragazze dai visini “angelici” che, mai te lo aspetteresti, suonano una robusta psychedelia di eccellente qualità con spirito fresco e capace.
Questo è il loro quarto album uscito dopo circa cinque anni di silenzio.
Immaginate un’inedita versione degli Ammon Duul con una sensuale e onirica voce femminile (Mineko Itakura che suona anche il basso) che recita liriche in madre lingua e che sovente modula seducenti sospiri ad accompagnare le acide emanazioni soniche delle due fascinose fate che la accompagnano (Mine Nakao e Fusao Toda alle chitarre).
Lisergiche vibrazioni Kraut-oriented che si alternano a evocativi quadretti folk.
Ballate venate di un’esoterica atmosfera malinconica che sanno abbandonarsi a lisergiche digressioni strumentali dai toni epici e allucinati.
Un disco dal sapore veramente inusuale, una sorpresa.
Una vera delizia.
L’album è uscito in contemporanea in Giappone per la Alchemy Records.
dr:op:fr:am+e ‘The Rule of Capture’
dr:op:fr:am+e è un variegato collettivo di Houston i cui membri sono coinvolti in numerose espressioni creative che comprendono il creare musica (ovviamente), il design grafico, la produzione di film e video e relative colonne sonore (act two, scene three, brano presente in questo lavoro è stato creato in collaborazione con l’Invisible College per dare un possibile supporto sonoro al Nosferatu di F.W.Murnau).
Un collettivo polimorfo e multidirezionale come polimorfo e multidirezionale è The Rule of Capture.
L’ascolto di questo loro primo lavoro di lunga durata equivale ad uno zapping alla radio.
Può capitarvi di ascoltare fumosi groove alla Cypress Hill (doinz afoot), dark ambient miscelata a frequenze post-industriali (table one), intermezzi di sithar, inquietanti voci manipolate su frenetiche ritmiche drum’n’bass (the eleven, waxx….), seducenti voci femminili su narcotiche pulsioni dub-fetish (radium), hip hop e moltro altro.
Un buco nero dal quale sembra poter fuoriuscire ogni cosa in qualsiasi momento.
Indubbiamente il lavoro più eterogeneo e fuori dalle righe (della produzione Monotremata) che RKF potesse proporci.
PS. Non ci sono chitarre suonate.
Southern Gun Culture ‘Room 65’
I Southern Gun Culture sono un giovane power trio (chitarra-basso-batteria) da Austin attivo dal 2000 fautore di un energico raw’n’roll che si adopera nel riesumare il sempreverde rifferama Sabbathiano, miscelarlo con suggestioni southern rock e, per quanto possibile, inserirlo in contesti (vedi ritmiche e linee melodiche) attuali.
Room 65 è il loro album di debutto, dopo un precedente EP, e consta di otto brani (registrati live in studio, presumo) che mescolano irruenza scum-punk, monolitici passaggi sludge e variegate ed efficaci proggressioni vocali.
Il risultato di tutto ciò è un sound che fonde in un’unica soluzione Back Sabbath, Motorhead e Corrosion of Conformity con la piacevole presenza della voce di Amber (fanciulla che canta in alcuni brani e suona il basso) che dona al lavoro tratti melodici personali e leggeri.
L’ultima, in ordine di tempo, produzione Monotremata guarda essenzialmente al passato (si tratta in definitiva di stoner) ma rimane comunque in linea con quel sound heavy che caratterizza, seppur con sfumature differenti, ogni sua uscita.
L’album contiene una traccia video che mostra il gruppo dal vivo (loro abitat naturale, come era possibile immaginare)
Andrea Palucci