(Universal 2002)
Devo purtroppo convenire con chi mi disse che il titolo “Dal lofai al cisei” era davvero geniale.
Proprio perché un titolo del genere consente tranquillamente al Bugo di sghignazzare sornione di fronte a ridicole quanto già previste trovate giornalistiche post-NME come questa: “sarebbe proprio il caso di dire che il processo è invece inverso: dal losei al cifai”. Quindi eviterò di scriverlo (… l’ho appena fatto?… bah… e chi se ne frega…).
Iniziamo subito col dire che in fondo Bugo ce lo siamo goduto abbastanza. L’abbiamo visto fare spontaneamente a pezzi tanto la canzone italiana quanto il fondamentalismo underground, fregarsene (vivaddio!) dell’opprimente lato del ‘politically conscious’ italiota grazie al suo innato individualismo esuberante, l’abbiamo visto incenerire Silvestrin e con lui l’intero media system senza premeditazione alcuna (quasi Moby Dick che distrattamente trancia la gamba di Achab solo perché nuota con la mascella allentata)… cristo vi assicuro… quell’apparizione a MTV sembrava quasi una vecchia puntata di Super Gulp. Ci ha fatto ridere, piangere e correre isterici per ogni dove a raccontare di aver conosciuto una vera forza della natura, un tipo fuorissimo cui bastava far triturare dal suo cervello una manciata di cascami di vita per restituirteli in salsa emozionale agrodolce con accordi di chitarra da devastazione radioattiva dopobomba.
Ritrovarsi questo dischetto nel lettore invece… sì… insomma… fa uno strano effetto… non tanto per l’ammorbante dibattito sul passaggio ad una major (tranquilli non ci casco), ma perché qui – e mi rincresce (solo un po’) doverlo ammettere – qualcosa si è indubbiamente spento (verve, animosità, piglio marginale, ispirazione o cos’altro è ancora da decidere). Non so se sia imputabile a una precisa volontà di confezionare un disco massimamente equilibrato tra attitudine noise-rockish e songwriting cazzone/accattivante (vedi Casalingo e il suo videoclip un po’ fuori tempo massimo) o se il Bugo abbia realmente perso la sua vena malinconico-esistenziale sbandierata ai quattro venti ai tempi di “Sentimento…” per acquisire un nuovo mood di qualche tipo… (voglio dire… non ci sarebbe niente di male in questo.. i soldi d’altronde mettono di buon umore al di là di ogni bieca considerazione e non glie ne farei certo una colpa). Nuovo mood dicevamo… sì .. ma… nuovo? E soprattutto… quale?
Prima ipotesi: facciamo finta che l’obiettivo sia davvero quello di far digerire questo album a un pubblico più ampio e poi ricontestualizzare alla sua luce tutti i lavori precedenti per i neofiti. Se così fosse, allora (quando e se lo ascolterete) spero vi verrà naturale chiedervi come suona questo disco per uno straniero che non ne comprende i testi (Universal implica anche etimologicamente un mercato un po’ più ampio di quello peninsulare ma le barriere linguistiche ahimè permangono ad arginare la liquidità del marketing)… e tuttavia il problema non è se ve lo chiederete voi… più importante sarebbe sapere se se l’è chiesto anche lui… e abbia agito di conseguenza… boh…
Seconda ipotesi: Bugo impazzisce per tutti gli strumentini tecnologici che ora ha a disposizione e può finalmente giocare a destrutturare la figura di Jim O’ Rourke scimmiottando il suo altalenare tra pop d’essai e sperimentalismo coglioneggiante…
Ma se così fosse….. perché Piede Sulla Merda coi suoi suoni effettati mi suona più come esempio di divertissment d’autore che come esempio di cantautorato deviante? (e dire che ebbi la fortuna di ascoltarne una versione live con sola voce e armonica che spazzavano via il doppio degli scricchiolii elettrici qui contenuti…)…
Perché Milano Tranquillità è un sibilante weird-hip hop deboluccio quasi quanto lo è diventato quello della qui presente versione di Pasta al Burro col suo annichilente incedere chill out versione robotica?
Credo che perfino la vecchina di Piede Sulla Merda esclamerebbe “Mo spiegatemi ben, perché quel figliolo lì suona così ROCK?”. Alcuni passaggi di La Mia Fiamma ricordano davvero troppo quei tre ragazzetti di Seattle (uno non c’è più, pace all’anima sua) che dalle parti del ’91 cambiarono le regole del gioco dei prodotti alternative (dopo di loro ricordo una valanga di bands accorgersi che d’ora in poi bisognava essere scazzati, psicotici, irriverenti… Bugo che lo era già di suo fin da “La Prima Gratta” che bisogno aveva di riallinearsi? Bah…)… e in tutto il disco i Sonic Youth di “Dirty” c’entrano come mai c’erano entrati prima d’ora.
Insomma quello che mi spiace di più è che Bugo, dopo tanti autoproclami da ‘cantautore’ sia invece, ironia della sorte, crollato proprio sul piano compositivo. Nel culo ha ormai il cuore al posto del pepe, e in zucca di sale ne ha ancora molto… ma dove lo ha messo?
Gli uccellini che si masturbano in Nero Arcobaleno li trovo ormai gratuiti, Fai la Fila non mi fa neanche sorridere (figuriamoci ridere, figuriamoci ridere amaramente), Morbida Scheggia è una noisetta litania (neo?) country-folk con (ormai consueti) lyrics pseudo deraglianti.
L’unica traccia di un qualche valore credo sia Io Mi Rompo i Coglioni per il suo mood pop sghembo tra Pixies melodici e Bob Dylan che si guarda Beavis & Butthead. C’è però un problema a livello di testi con quella canzone… se Bugo volesse davvero essere GG Allin tanto per avere qualcosa da fare, è bene che qualcuno gli ricordi di uscire alla prossima e riprendere l’autostrada in senso inverso… ci rimette un po’ di soldi di autostrada ma ci guadagna in risate nel vedere mani sporche di merda dopo le sincere pacche sulle spalle tributategli dall’audience…
Con enfasi attoriale da mammina disperata per le sorti del suo pupillo concludo dicendo: “ragazzo mio… ma anche la ghost song t’hanno messo?”
Mi sono accorto di avere scritto troppo… riassumo per chi guarda direttamente la frase finale: bypassate e riandate ad ascoltarvi i precedenti.
Voto: 6
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