(Mercanti Di Liquori/Venus 2002)
Per apprezzare i Mercanti di Liquore è di fondamentale importanza non dimenticare da quale terra è germogliata la loro musica. Forse ascoltando il loro ultimo lavoro sarebbe superfluo e un po’ ingombrante nominare il loro maestro; e questo perché, a conti fatti, dopo un primo ascolto ne emerge un lavoro di ottima fattura, eterogeneo e mai consequenziale: un filo invisibile di favolistica realtà lega tra loro tutte e tredici le canzoni della “Musica dei Poveri”.
Iniziano la loro carriera musicale a Monza, a metà degli anni ’90, eseguendo brani di Fabrizio de Andrè, personalizzandoli con estro e con riarrangiamenti godibilissimi. È per questa loro scelta che la critica specializzata li definisce ‘power-folk trio’.
Mentre nel loro primo cd, “Mai paura”, erano raccolti quasi esclusivamente brani di Fabrizio de Andrè, accompagnati da quattro brani da loro composti, “La musica dei poveri” può essere definito il primo lavoro totalmente frutto del loro ingegno creativo. Pur carente a volte di ricchezza musicale, trasforma questa essenzialità compositiva in un’ armonica commistione di melodia popolare e ritmica moderna. È un lavoro in cui ogni brano ha il suo giusto posto, come ogni emozione ha la sua giusta collocazione nel corso della vita.
L’inizio del disco non potrebbe accentuare meglio la disobbedienza silenziosa presente nelle canzoni; l’incipit è affidato ad un brano preso in prestito dal film “Il marchese del grillo”, ossia “La benedizione di frà Bastiano”.
Qualcuno ha detto che questo disco ha come protagonista un’umanità perdente ma orgogliosa; io non la definirei propriamente così; l’orgoglio dell’uomo di fronte al furto della propria libertà non lo porta mai a perdere. Chi potrebbe definire perdente il protagonista della prima canzone Apecar? Non esiste nessun perdente ne L’eroe, che parla di chi ha sempre gridato senza mai alzare la voce. Nel brano non c’è nessuno che grida, ma le parole sono quelle che ognuno di noi vorrebbe vomitare sopra le ingiustizie di tutti i giorni. Saremmo tutti perdenti se anche ne Il vigliacco fosse presente questa idea di sconfitta, che invece non c’è; vi sventola invece la bandiera della disobbedienza, perché se è vero che la non-violenza è spesso confusa con la codardìa, allora una parte di mondo prolificherebbe di vigliacchi.
Se De Andrè avesse potuto ascoltare questo disco probabilmente avrebbe sorriso di fronte a questa musica che fa star bene, che accarezza le emozioni, quelle più pure e ingenue; un lavoro che ha la capacità di far credere che si può cambiare qualcosa anche solo credendoci. Questo disco aiuta a guardare il mondo ad occhi spalancati, e nonostante questo, sentirsi bene. Da ascoltare quando ci si sente soli e diversi. Da ascoltare quando tutto ci sembra troppo scontato.
Questo disco è per quelli che hanno un Don Chisciotte incazzato tatuato sul cuore.
Voto: 8
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Autore: clandestina2000@libero.it