(Screwgun/Demos 2002)
L’ultimo lavoro di Tim Berne ricorda la session, avuta a cavallo degli anni 70, da Ornette Coleman presso gli studi della Columbia, e inoltre il matrimonio tra improvvisazione acustica ed elettronica. Uscito, per la propria ‘Screwgun’, denota come Berne si sia deciso a troncare il rapporto con le major e tornare a prodursi da solo i propri lavori. Scelta encomiabile, solo che…aihmè, risulta difficile stendere altrettante lodi sul suddetto disco. Berne come sempre mostra difficoltà a staccarsi dagli anni 80, e da tutto quello che di negativo hanno apportato alla musica nera. “Science Friction”è marcato costantemente da vampate di fusion elettrificato che hanno tristemente reso famosi artisti come Al Di Meola e gruppi come i Weather Report. Invece di rendere omaggio alla session, sopra citata, sembra casomai ricalcare l’ultimo periodo di Coleman proiettato verso l’armolodia. La formazione, sempre la medesima dei Bloodcount, vede Marc ducret alla chitarra, Craig Taborn alle tastiere, e Tom Rainey alla batteria. Le prime confidenze cominciano con Huevos, melliflua riproposta dell’ultimo Miles Davis scossa dalle impennate strumentali, scarsamente innovative, se si pensa che i Prime Time suonavano queste cose più di dieci anni fa. Accostamenti al Zorn di “Absinthe” con Ducret che prova ad infrangere la staticità in Sigh Fry. Rimangono più graditi gli scorci collettivi di Manatee ed il piccolo interludio isolazionistico di Mikromaus. Spiace dirlo, ma siamo ben lontani dai tempi delle prime registrazioni con lo stampo dei Bloodcount e dal fumoso “Diminutive Mysteries”, dedicato al maestro Julius Hemphill.
Voto: 6
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