Folgoranti illuminazioni a suon di contrabbasso
Charles Mingus è stata ed è una delle figure più brillanti del cosmo sonico. La sua immensità, la sua genialità artistica e la sua voglia di vivere, suonare, comunicare e arrabbiarsi quando non ci riusciva abbastanza, è proverbialmente nota, ma non completamente compresa. Ci prova a spiegarla, e a mio avviso ci riesce, Stefano Zenni nel suo libro intitolato “Charles Mingus. Polifonie Dell’Universo Musicale Afroamericano”, edito dalla Nuovi Equilibri. L’opera tratta del grande compositore dipanandosi su due linee: aprendo brevi squarci sulla vita del contrabbassista getta uno sguardo sulla persona, spiegando in maniera semplice e chiara i brani più famosi ne getta invece uno sulla musica, legame indivisibile nel caso di Mingus, o meglio parti non pensabili l’una senza l’altra, l’una che condiziona lo svolgimento dell’altra. Zenni non articola la trattazione in maniera lineare, cioè analizzando le opere da lui ritenute fondamentali secondo la cronologia, ma in ogni capitolo ci sono continui rimandi al successivo e al precedente, ogni composizione è scandagliata a fondo e proiettata nel futuro, per essere ripresa e riadattata al passato. In questo modo si riesce a creare una sorta di reticolato semantico della poetica musicale mingusiana, che rende l’opera dell’artista visibile ed interpretabile da più lati. E subito ci si appassiona nel seguire e capire la grandezza di Mingus che anticipa il suo tempo, vedi le sue composizioni pre-free; poi è costretto per poter comunicare la sua musica a seguirlo, vedi il bebop; ed infine, non potendo fermarsi ad aspettarlo data la sua incontenibile energia creativa, che va per la sua strada lasciando tutto scritto per la gioia dei suoi esegeti, vedi le sue opere ultime ed il capolavoro postumo Epitaph. Che Mingus riesca a farsi amare è facile da verificare, basta ascoltarlo, come abbia fatto e continua a fare questo libro può aiutarci a capirlo. Mi sono sbilanciato, vedete un po’ voi.
Marco Paolucci
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