(Autoproduzione 2002)
Ibrida creatura sonora quella cui danno vita i romani Acre nelle quattro tracce di questo demo.
Il loro sound è senza dubbio pungente (ai limiti del piacevolmente urticante in più di un passaggio) come il nome dell’intero progetto sembra presupporre, spigoloso e sfaccettato come l’iconografia preannuncia. Le coordinate sono effettivamente difficili da tracciare dato che le strutture post-rock (c’entrano in qualche modo i Tortoise ma… è poi vero?) si scontrano ora con certa ossessività di stampo propriamente ‘noise-Anphetamine’ (Dubbone o alcune parti di Segundo), ora con ultrasintetiche sferzate cyber-oriented (come le surreali ‘vocals’ di 2802).
L’intro di Box 71 (successivi stacchi compresi) fa pensare a un brutale drenaggio dei primi Polvo mentre il vagabondaggio simil-jazzato che ne segue e gli accenni di armonio-delia finali, oltre a essere davvero brillanti, fanno prendere definitivamente il largo da tentazioni math rock disseminate in più punti del disco. Segundo, il brano conclusivo, è forse la summa degli umori e degli schizoidi divertissement della band tutta giocata su: tempi in sospensione, fluide trasmutazioni di sonorità, cascate di coriandoli digitali, destrutturazioni noise ben assestate.
C’è un retrogusto involontariamente (quanto positivamente) old fashioned nel sound degli Acre che mi riporta alla mente (ma solo per attitudine badate bene) bands come i Meathead o gli Headspring (e forse anche i Pain Teens per chi se li ricorda)… e tutto un periodo in cui i contorni erano effettivamente meno irregimentati di quanto lo siano oggi (malgrado tutte le dichiarazioni di melting pot sonoro che dobbiamo sorbirci ogni giorno… ogni mese?)….
Gli Acre sono la dimostrazione di come il genuino sperimentalismo ‘rock’ (parola che per proposte come questa non significa fortunatamente poi molto) non conosca fortunatamente ossessioni esterofile.
E già solo per questo varrebbe la pena di ascoltarli.
Voto: 6
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