(Words On Music 2002)
”Lights I see in your eyes/reflecting neon signs/You say we’re so alike/but I’m nobody’s type/and lately I don’t mind”. Questi primi versi di “Medication”, brano di apertura di “Coalesced”, ultima fatica sulla lunga distanza dei For Against, dicono tutto a proposito della tensione emotiva che contraddistingue ogni album di questo terzetto americano, originario di Lincoln, NE e in circolazione ormai da quasi un ventennio.
Al suo ritorno sulle scene dopo cinque anni di assenza, (il precedente “Shelf life” risale 1997 – a questo vanno poi aggiunti “Echelons” del 1987, “December” del 1988, “Aperture” del 1993, “Mason’s California lunchroom” del 1995 e il mini album “In the marshes” del 1990), questa ensemble dreampop di culto (e decisamente poco prolifica) non smette di stupire, offrendo, con “Coalesced”, un vero e proprio vaso di Pandora, alla cui apertura l’ascolatore viene investito da un vortice di sensazioni di incomparabile intensità, all’interno del quale amore ed estatica contemplazione sfumano gradualmente e irreparabilmente in un vertiginoso senso di perdita e disfatta, quel che un tempo era attrazione svanisce nell’indifferenza e nel rigetto, la vicinanza del prima si tramuta nella distanza del poi.
Ad immortalare questo turbinìo emozionale, da un punto di vista strettamente musicale, nei sette brani di “Coalesced” (che, in questo senso, rappresentano una sorta di compendio degli ottimi risultati fino ad ora ottenuti da questa band) concorrono diverse matrici sonore, che i For Against fanno sapientemente confluire in una ammaliante miscela elegante, raffinata e, come detto, fortemente evocativa.
Troviamo così sia le trame quasi notturne, dalle tinte vagamente Joy Division, che avevano contraddistinto l’album d’esordio (la title-track), sia il pop ricco di eco del sound di casa Creation prima maniera (già rinvenibile in “Mason’s California lunchroom” e “Shelf life”), con ben precisi riferimenti a storiche band quali The Wake e, soprattutto, Felt (le chitarre agrodolci e molto jangly di “Fuel” potrebbero tranquillamente trovare posto in un album quale “Forever breathes the lonely word”, mentre non è difficile immaginare la conclusiva e strumentale “Love you”, con tutta la sua straziante solitudine docilmente cadenzata, suonata dai Felt dei tempi di “The splendour of fear”) e House of Love (”Medication” e “So long”, sul cui sfondo, in lontananza, è possibile udire anche i Kitchens of Distinction di “Drive that fast”) e le crepuscolari escursioni in territori shoegazer á la Ride/My Bloody Valentine, tipiche di “Aperture”, con chitarre che lentamente emergono facendosi a poco a poco sempre più affilate (“Outside a heart” e ”Shelflife”).
Un album meraviglioso, talmente bello ed emotivamente pregnante da far paura ( e sicuramente da evitare nelle giornate sbagliate). Se la perfezione è quello che stavate cercando e avevate ormai perso ogni speranza di trovarla, allora “Coalesced” fa per voi.
Voto: 10
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Autore: acrestani@telemar.it