(BMG 2001)
Tra il 1987 e il 1989 dalle nostre parti presero a diffondersi voci riguardanti una giovane e strepitosa formazione australiana che rispondeva al nome di Hummingbirds.
Si favoleggiava circa un’esplosiva serie di sette pollici (quattro, per la precisione), dei vasi di Pandora dai quali
promanavano intense e piacevolissime folate sonore rumorosamente melodiche (o melodicamente rumorose, a seconda dei punti di vista e delle priorità dell’ascoltatore), sui quali ben pochi avevano avuto la fortuna di allungare le proprie mani (e il sottoscritto, ahimè, non era uno tra questi – ne sono venuto in possesso solo undici anni dopo).
Sul finire del 1989 si levò un nuovo turbinìo di voci, a proposito, questa volta, dell’album di debutto, intitolato “Lovebuzz” e prodotto da Mitch Easter dei Let’s Active. Anche in questo caso, solo poche copie fecero capolino in Europa (e, ovviamente, ancor meno in Italia), e l’ascolto degli Hummingbirds rimase privilegio di pochi, almeno fino alla
primavera del 1990, quando, grazie all’eccellente riscontro critico, “Lovebuzz” giunse finalmente ad avere una discreta distribuzione anche nel nostro continente. Fu allora che riuscii finalmente ad acquistarne una
copia e si trattò di una vera e propria folgorazione.
Ricordo che al primo ascolto venni investito da una dirompente miscela di suoni che in sé racchiudeva di tutto, dal power pop anni ’70 dei Big Star, a spunti che riconducevano a storiche band degli
anni Ottanta, quali Pixies, Dinosaur Jr. e i Sonic Youth più distorti (quelli degli anni Novanta lo sono un po’ meno), fino al più etereo e
siderale dreampop. Nonostante le chiare differenze tra una componente e l’altra, la loro combinazione conquistava immediatamente per la sua sconcertante naturalezza. Il tutto, poi, era sostenuto da una poderosa, massiccia sezione ritmica si accompagnava dagli strepitosi intrecci vocali di Simon Holmes e Robyn St. Clare.
Come tutti sanno, però, le cose belle non durano mai a lungo, e gli Hummingbirds non costituirono un’eccezione alla regola.
Il loro secondo album (“Va va voom”, del 1991), nuovamente prodotto da Mitch Easter e musicalmente, se possibile, ancor più vario, con la
saltuaria e indovinata aggiunta di fiati, non ebbe il riscontro critico del primo, passò del tutto inosservato e non ottenne mai una distribuzione decente, così come, di conseguenza, finirono col restare nell’oscurità diversi e.p. risalenti allo stesso periodo (“Gone”, “If a vow”, “2 weeks with a good man in Niagara Falls”, “You just gotta know my mind” e “Tail”). Dopodiché, la band si sciolse e la sua produzione, già difficilmente reperibile, divenne pressoché impossibile da rintracciare, se non ad un prezzo spesso esagerato sul mercato dei collezionisti.
In soccorso di chi all’epoca non venne toccato dal fenomeno Hummingbirds viene ora questa raccolta, interamente rimasterizzata, che ripercorre la
breve ma luminosa parabola musicale di questa formazione.
Si parte, come del resto è doveroso che sia, dagli esordi, ossia dai primi, mitici, quattro sette pollici, qui rappresentati da Hindsight, Dragged over the coals, Alimony, Everything you said e Get on down (queste ultime tre furono in seguito nuovamente registrate e mixate per essere incluse nell’album d’esordio).
Da “Lovebuzz” sono invece tratte Blush, Tuesday, Word gets around, She knows e Barbarian, che forniscono prova eloquente della straordinaria ricchezza di questo disco; da “Va va voom” sono state scelte Defiant, If a vow, 2 weeks with a good man in Niagara Falls e Madison, mentre in chiusura troviamo due brani tratti dall’ultima uscita del gruppo prima dello scioglimento, l’e.p. “You just gotta know my mind”: la title-track e Rainy daydream.
Certo, sarebbe bello poter scavare a fondo nella produzione degli Hummingbirds, ma, in mancanza d’altro, anche questa raccolta permette di cogliere in pieno quanto di creativo e innovativo vi fosse nelle composizioni di questo indimenticato e rimpianto quartetto.
Voto: 9
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Autore: acrestani@telemar.it