(Mute 2003)
A un Nick Cave stile ‘controfigura pop di un patinato Chet Baker’ c’eravamo abituati già da qualche album: immagine da bello e maledetto (-ma-non-troppo), lievissime songs elegiaco-esistenziali, lontano passato oscuro (!?!?… ma non ci siamo drogati un po’ tutti comunque? Bah…), indecifrabile malessere da trasporre in versi, musica e quant’altro (fermo restando il fatto di essere saldamente comprensibili alla generazione di turno) e così via….
A un Nick Cave fintamente postmoderno come quello che ci si para dinanzi col suo nuovo videoclip da agitatore ormonale (anche fosse per scherzo… invadere il territorio dei negroni e delle sexy panthers di ogni video dance…. vergogna Nick… films come “Bronx” non ti hanno insegnato proprio nulla….) ci si abitua invece difficilmente.
Ad un Nick Cave dall’angelico volto immerso in un alone di luce paradisiaca, per giunta sopra scritta dorata… diosanto… ci si abitua… solo a patto di gettare al vento anche l’ultimo briciolo di buon gusto in fatto di design (e vabbè… sì… la Ciccone ha uno staff e lui forse no… capito).
Non credo sia per mancanza di agilità mentale (siamo degli atleti provetti in quel campo, concedetecelo) o per incapacità di trovare piacere nella splendida ‘irrealtà’ da tv show society di ogni giorno. Dateci una splendida, intelligente ed autoironica truffa e faremo finta che ci abbiate fregato, nessun problema. Prova ne sia il fatto che “No More Shall We Part” ce l’eravamo goduto: per lo meno non lasciava all’ascoltatore il tempo di dibattere su tutto ciò, essendo dotato di ben altra capacità di coinvolgimento emotivo.
“Nocturama”, invece, con il suo layout da campionario di levità poetica lo ‘impone’ ahimè.
Ci si abitua male a tutto ciò comunque più che altro perché la mancanza di stile in quest’operazione raggiunge davvero il livello dell’atto criminale. Cave ci prende per stanchezza, sperando che non ci accorgiamo del fatto che la Wonderful Life in apertura (pur di ottimo livello) o Bring it On sono nient’altro che puro canovaccio di desolazione appena uscito dal Cave-ificio dietro l’angolo, che l’ineccepibile eleganza di aeree melodie come Right Out of Your Hand è stata nel frattempo fatta propria da altri sornioni maestri del melange decennistico come i Cousteau.
Credo speri poi anche in una presunta incapacità di decontestualizzazione (da parte dell’ascoltatore) o di respingere remore da meccanismo giornalistico (da parte di chi scrive): la suadente She Passed By My Window sarebbe stata perfetta in un disco di Scott Walker (ma lui sì che era ‘charming’), la malinconica Still in Love in un disco dei Tindersticks…. e la mielosa He Wants You in un disco … per dio… suvvia… il coraggio di dirlo ce l’abbiamo: di Elton John.
E a tutto questo va aggiunto il fatto di illudersi di essere ancora credibile nel ruolo opposto di devastatore auditivo: selvagge cavalcate blues che sfuggono al controllo diventando quasi grotteschi brani funky come nel caso della (gratuitamente interminabile) I’m On Fire; tardivi colpi di reni rock’n’roll con condimento di organo ‘garage’ come Dead Man In My Bed.
Ultima nota davvero inaccettabile: il disco è anche piacevole.
Peccato che abbia sempre trovato la parola ‘piacevole’ poco meno che un orrore linguistico. La rappresentazione in musica, specie quella che si autoproclama bohemienne, disperata ed eversiva, deve essere di per sé oltre la mera attitudine contemplativa. Come diceva qualcuno: “Il teatro deve essere delitto. Altrimenti è solamente spettacolo.”
Se i vostri languidi sguardi e il vostro cuoricino si struggono ancora per il bel tenebroso e il vostro buon senso non ha nulla in contrario al prezzo del biglietto… beh… non resta che l’annichilente grido … “Sipario!”….
Voto: 5
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