(Preference Recordings 2001)
Si è sempre detto che i prodotti fatti in casa sono ineguagliabili. Perché hanno un componente unico che manca di solito a quelli appena usciti dai ‘prodottifici’ organizzati: l’amore e la cura di chi li confeziona.
E’ soprattutto di questi ingredienti che vive questo “Emily’s House” della cantautrice di Baltimore Linda Smith, le cui produzioni restano virtualmente sconosciute nel nostro paese ad eccezione di qualche sparuto brano su nastro in altrettante sparute compilations edite dalla nostrana Best Kept Secret. Completamente prodotto all’interno della mura domestiche, il materiale della cantautrice statunitense è stato poi registrato nell’arco di un mese al Millany Colony for the Arts di New York con la minimale strumentazione della Smith. La parsimonia delle risorse ha però magicamente generato un sovrappiù di potenziale emotivo ed evocativo. I brani di “Emily’s House” ondeggiano meravigliosamente tra sonorità vecchie e nuove, avvicinandosi ora ad alcune delle produzioni di Kendra Smith come in Night o dei Velvet Underground (You Changed o Solitary Pursuits) fino ad arrivare alle odierne battigie di Gentle Waves o di una Hope Sandoval più poeticamente pop (Where You Are). La Smith fa infatti irradiare dalla sua musica accenni ed echi di una meravigliosa soffice patina sixties con la quale Sandy Shaw o Sandy Posey impastavano deliziosi manicaretti per poi trasfigurarla e farla lievitare con emulsionanti lo-fi affascinanti proprio per il loro approccio naive. Forse proprio perché a differenza di loro la Smith ha in più a disposizione le meraviglie della tecnica della nostra generazione e le usa con gusto ed intelligenza. I dolci e intimi motivetti sfilano sopra tappeti elettronici tanto minimali da sembrare batterie giocattolo e vengono ricamati con intarsi di synth mai invadenti (provare Club Soda & Lime per credere). Aggiungete poi a tutto ciò i riferimenti letterari alla vita della poetessa Emily Dickinson (la cui vita riservata e i cui travagli interiori aleggiano come un’ombrosa presenza) e una certa qual tendenza alla filastrocca, al racconto di immediata presa emotiva come in No 2 People o Emily’s Grave. Il tutto però non giunge mai a tingere di grigio quella tendenza al gioco melodico innocente e puro (come l’acquerello strumentale posto in chiusura) tipico delle composizioni della Smith. Il che non vuol dire che non ci siano momenti di forte introspezione o riflessione (le già citate Night o Where You Are sono illuminanti al riguardo), ma basta sentirla cantare per innamorarsi perdutamente della levità vocale con cui affronta qualsiasi tema: la voce di Linda è infatti quasi sempre soffice e carezzevole anche quando è filtrata come nell’iniziale omonima Emily’s House, o quando si stempera in toni semisussurrati come nella successiva The Time of Year.
Un album bellissimo dedicato soprattutto a chi ama il songwriting privo di pretenziosità e che punta soprattutto sulla sincerità espressiva. Forse soprattutto per chi ama la poesia.
O la poesia in musica.
Magari è proprio di questo che semplicemente si tratta.
Per saperne di più: Intervista con Linda Smith
Voto: 10
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