Direttamente da El (Hell) Paso-TX, la storia di cinque liceali sfigati che diventano i nuovi eroi del punk/emo/hardcore. Sounds familiar, isn’t it?
Un gruppo di liceali della cittadina sperduta di El Paso, TX che si mette a suonare invece di studiare. I professori che ripetono che non faranno mai nulla di buono nella vita.
Nascono gli At The Drive-in.
Nel 1995, a malapena sedicenni cominciano a incidere i primi demo, e nel 1994 fanno uscire il primo EP ormai abbastanza introvabile, chiamato Hell Paso, una specie di mix di indie rock e hardcore che ai fans della band di adesso suonerà decisamente strano.
Un anno dopo riescono a mettere su qualche altro soldino ed esce il primo vero lavoro degli At The Drive-in Alfaro vive, Carajo!
Un EP di tre canzoni con una produzione penosa, in cui i cinque ragazzini urlano e strepitano di amici che si sono uccisi, di vite fallite e di voglia di scappare all’estero.
Mescolando emo, punk e hardcore in un modo piuttosto unico il gruppo si fa notare soprattutto per i loro concerti assolutamente folli ed è infatti dopo una data ad un night club che ottengono un contratto dalla Flipside.
Nasce così il loro primo album, Acrobatic Tenement, composto di canzoni tutte nuove.
Presenti le solite ottime caratteristiche che non mancheranno di piacere agli appassionati: produzione penosa, rumori di fondo impressionanti e soprattutto il marchio della mitica etichetta Flipside, mamma di gruppi signorili come Doggy Style e il primo album di Beck (non Jeff…).
Tutte le canzoni sono in bilico fra emo e hardcore, ma è chiara la prevalenza del primo in quanto manca proprio la produzione per rendere le canzoni aggressive.
Il gruppo per quest’album era composto da Ryan e Jim alle chitarre, Omar al basso (che rimane fisso) Adam alla batteria e l’inconfondibile voce di Cedric Dixler con la sua ingenuità da 18enne, i suoi alti da femminuccia (sentitelo in Paid Vacation Time) e gli strilli da bambino furioso.
AT è un album abbastanza ridicolo, suonato a caso e lasciato alla deriva senza una direzione precisa. Però i vecchi At The Drive-in erano così, la loro, spesso discussa, sincerità viene veramente fuori in album come questo: Embroglio dedicata all’amico morto (decisamente troppo sopra le righe), Initation dove si narra di una insana passione per una cantante e ovviamente i primi attacchi contro il governo.
Gli ATDI sono sempre stati celebri per i testi contorti e non molto comprensibili, addirittura lo stesso Omar ha dichiarato in un’intervista di non sapere di cosa parlano i testi. Solo Cedric lo sa.
In un qualche senso perverso il primo degli At The Drive-in riflette il primo dei Deftones, ma mentre quest’ultimo era più deciso, AT rimane sull’orlo del baratro e non fa nessun passo decisivo per guadagnarsi il favore della massa.
Instancanbili gli ATDI riprendono a fare concerti e a lavorare in studio, nel 1997 esce così il loro secondo album (anche se sarebbe più corretto definirlo un EP): El Gran Orgo.
Jim è rimasto solo alle chitarre, il che in teoria dovrebbe dar vita ad un album più monotono del precedente, ma grazie alla bravura del primo non si nota minimamente l’assenza di Ryan.
In 17 minuti scarsi si susseguono sei canzoni veramente straordinarie, più pacate rispetto al primo album ma allo stesso tempo più decise e ricche di ottimi spunti (come il riff di Give it a name).
Gli ATDI ovviamente non si fermano, e vedendo che non erano riusciti a guadagnare una buona popolarità solo grazie ai loro show cominciano a lavorare sul loro secondo album.
Nel 1998 esce In/Casino/Out, l’album di svolta della loro carriera.
Abbandonato l’emo, la band si concentra sul loro mix personale di hardcore e punk riuscendo in certi punti veramente ad emozionare (Cedric che strilla ‘No turning back! This is forever!’ in Napoleon Solo).
Torna la seconda chitarra, stavolta suonata da un certo Pall, che ovviamente non durerà molto.
Notabile la presenza di una canzone piuttosto lenta, in cui canta Jim e fa notare una certa voglia di sperimentare da parte degli ATDI senza fermarsi al semplice hardcore/punk (Hourglass)
La convivenza in una band così particolare è sempre stata difficile, soprattutto fra i due capisaldi del gruppo, Jim Ward e Cedric Drixler. Quest’ultimo ha spesso accusato il chitarrista del suicidio di un loro amico, e gliene ha fatto un torto incancellabile, motivo che si dice abbia poi portato allo scioglimento del gruppo.
Ma torniamo al 1999, anno in cui gli ATDI hanno l’onore di dividere il loro tour con i Rage Against The Machine di De La Rocha. Si avvicinano infatti al loro suono tagliente e ai testi rappati e politicamente impegnati nel lavoro del 1999 Vaya.
Decisamente il meno riuscito di tutti, soprattutto per la sua manifestata inutilità di fungere solo da ponte tra l’album del 1998 e il loro ultimo album.
Notabile comunque la presenza di canzoni stupende come 198D, emozionantissima, la sperimentazione elettronica di Rascuache e la rabbia di Ursa Minor.
E’ giusto menzionare anche uno split 7” con gli sconosciuti The Aasee Lake e con gli Streamlined nel 1998, anche se non sono stati per nulla rivoluzionari.
Alla fine nel 2000 la conscrazione: gli At The Drive-in presi per mano dal celebre produttore Ross Robinson ed accompagnati nello studio di registrazione per realizzare quello che è il loro album più famoso, Relationship Of Command.
Probabilmente il loro lavoro più completo, sotto il punto di vista musicale, vengono completamente sperimentate le direzioni accennate in Vaya e In/Casino/Out.
Si scomoda addirittura Iggy Pop a cantare con loro nel singolo Rolodex Propaganda.
Gli ATDI diventano finalmente qualcuno, riescono addirittura a fare un tour mondiale e il loro successo è ormai assicurato. Alla fine del tour si sciolgono.
I motivi sono tanti, ma è palese come la convivenza tra Jim e Cedric sia diventata sempre più difficile. I due infatti hanno formato ognuno il proprio gruppo, Jim gli Sparta, un mix tra emo e punk e Cedric ed Omar i Mars Volta, uno strano tentativo di fare del rock alternativo ma rimanendo nello stile ATDI.
Per ora i risultati delle due band sono più che discreti, però la stupenda ingenuità e la stupida sincerità dei primi album è scomparsa da tempo, e questo sicuramente non depone a loro favore.
Questa è però è un’opinione strettamente personale, il mercato discografico la pensa diversamente.
Così vanno le cose.
“I say it’s all a facade
And nothing really matters now”.
Damiano “Damien” Gerli