(Hibari Music/Fringes 2002)
Questo disco mette a dura prova la percezione uditiva, anche per quelle orecchie in cui sono soliti incanalarsi suoni di matrice improvvisata. Lo spirito aleatorio che si è creato tra Taku Sugimoto, Masafumi Ezaki, Taku Unami non poco tempo fa nel cantiere sperimentale dell’Off Site di Tokio ci viene offerto dalla prima uscita non in cdr per l’etichetta ‘Hibari’. La matrice problematica potrebbe semplificarsi nelle seguente equazione: strumentazione ortodossa pari a suoni anomali per il comune sentire. Un unico pezzo che in progress riesamina la verve di questi improvvisatori di ultima generazione che nella testa comprimono tradizione (un ipotetico blues malinconico suonato dalla pacatezza di Satie come nel caso di Sugimoto) e 50 anni di musica contemporanea con l’occhio diretto verso architetture Zen. Non è un caso che una volta terminato l’ascolto la prima cosa che mi venga spontaneo inserire nel lettore siano le composizioni per piano e violino, con l’infinita suite dedicata a John Cage, di Morton Feldman. Appaiono sin da subito convergenze in comune, sfruttamenti del silenzio in tutta la sua essenza, del suono che può celarvisi dentro, di tutto il suo mistero. L’interazione collettiva viene anch’essa messa da parte, i soffi, i rumori che si increspano nel nulla improvviso sembra che facciano la loro comparsa a turno senza inciampare l’uno dell’altro. La tromba di Ezaki mi fa pensare a certi esperimenti vicini a Axel Dorner per l’introversione o a trombettisti come Greg Kelley per la tensione presente. In attesa di ascoltare la seconda uscita del catalogo ‘Bject’ a firma collettiva di Okura-Akiyama-Kawasaki e l’atteso duetto di Unami con Giuseppe Ielasi, consigliamo la penetrazione in questi 50 minuti di suoni a chi è gia avvezzo a sondare terreni sonori ostici e di difficile permeabilità.
Voto: 7
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