(Out One Disc/2003)
L’indagine del rapporto suono-immagine sembra essere il leitmotiv dell’odierna musica improvvisata. Suono-scultura, suono-pittura, suono-fotografia… sono tutti binomi con cui ci troviamo a fare i conti in un presente dove il concetto di musica per immagini sembra aver sostituito definitivamente quello di musica per ambienti. Un ruolo singolare all’interno di questa tendenza è riservato alla sonorizzazione di pellicole immaginarie o a quella, ex-novo, di pellicole appartenenti alla storia del cinema, vengono così create delle imaginary soundtrack che sono una via di mezzo fra vecchie colonne sonore e nuovi concetti di multimedialità. È in quest’ottica che tre fra i più noti improvvisatori giapponesi si mettono alla prova con un film del 1974 di Philippe Garrel il cui cast comprendeva Jean Seberg, Nico, Tina Aumont e Laurent Terzieff. Garrel è un regista poco conosciuto in Italia, ne è prova l’ottimo “Dizionario dei film” di Paolo Mereghetti dove la sua filmografia appare potata di molti titoli, eppure si tratta del regista di cult movies quali “La cicatrice intérieure”, la cui colonna sonora era in parte contenuta nel disco di Nico “The Desertshore”, e del più recente “J’entends plus la guitare”. È difficile racchiudere in parole le sensazioni determinate da suoni che a loro volta esprimono le sensazioni provate nel guardare immagini che a loro volta esprimono le sensazioni balenate chissà come nella testa di un regista… il tutto assomiglia troppo a una matriosca. Posso però immaginare i tre musicisti che disconnettono il sonoro, danno avvio al proiettore, indicato sulle note di copertina quale quarta fonte sonora, e sul suo ritmo iniziano ad estrarre dagli strumenti quei suoni che lo scorrere delle immagini suggeriscono… o consigliano… o ispirano. Credo di afferrare così il meccanismo che ha caratterizzato l’evento… ma non conoscendo neppure il film, probabilmente mai distribuito in Italia, è difficile fare una valutazione corretta sulla riuscita del rapporto suono-immagini. Considerando che il CD si presenta (ed è venduto) quale oggetto svincolato dalle immagini è possibile limitarsi, però, alla sua trattazione sotto l’aspetto puramente sonoro. “Les Hautes Solitudes” è uno dei dischi più densi ascoltati negli ultimi tempi, passatemi quest’imprudente definizione che contraddice la rarefazione che lo contraddistingue, e quella contenuta fra i suoi solchi è poesia del rumore allo stato più puro e incontaminato… di più, è la libera messinscena di tre grandi musicisti che sanno interpretare la tradizione come la modernità, il blues come la musica classica contemporanea, il rumore come la melodia, il jazz come l’elettronica, come l’elettroacustica, come il silenzio assoluto… con la stessa intensità, con lo stesso lirismo e con la stessa fantasia. Sugimoto Taku distilla note di chitarra in modo ancor più sobrio del suo solito… Otomo Yoshihide evita ogni forma d’irruenza e, manipolando i giradischi, si esprime in soffi e fruscii da notturno meccanico… Sachiko M non spinge mai l’uso delle sinewaves a livelli di fastidio sonoro e preferisce puntare maggiormente nell’imprevedibilità determinata dall’uso di alcuni microfoni a contatto… se vi piacciono le opere pompose e wagneriane state lontani da questa musica fatta d’ombre, di meditazioni, di cose non dette o di altre soltanto accennate… la semplice fluttuazione del pensiero… hei!?!! A questo punto sono proprio curioso di vedere il film di Philippe Garrel. (no ©)
Voto: 10
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Autore: sos.pesa@tin.it