(Tzadik 2003)
Compositore, teorico e inventore di strani strumenti musicali, questo è
Frank Denyer britannico ometto del 1943 rinomato oltretutto per svolgere l’attività
di pianista all’interno del Barton Workshop con il quale si dedica brillantemente
alla rilettura delle opere di mostri sacri come Feldman, Cage, Lucier
e Jerry Hunt. Detto questo, più o meno, dovreste aver individuato
l’area di azione del buon Frank, con l’ausilio proprio del citato Barton workshop
possiamo quindi immergerci in questa gustosa cavalcata che prevede sulla scia
degli autori sopra citati forti ambientazioni oscure che di volta in volta vengono
trasfigurate dalle inserzioni orchestrali sempre giocate sul filo di una tensione
palpabile che induce notevoli attimi riflessivi e non disdegna assolutamente di
flirtare con il silenzio.
Le composizioni originali racchiuse in “Fired City” vivono costantemente
nell’ombra, marchiate a fuoco dall’utilizzo di strane sonorità ricavate
dagli strumenti creati appositamente dall’autore che contribuiscono in maniera
determinante alla creazione di scenari suggestivi che avvicinano l’operato di
Denyer a quello di Harry Partch; le frequenti fasi di stallo e le notevoli
progressioni ritmiche ed armoniche rendono l’opera ancor più interessante
denotando una capacità di scrittura ragguardevole.
L’inserimento nella collana della Tzadik “Composer Series” è
pienamente giustificata in quanto Frank Denyer rappresenta l’ennesimo tassello
nella ridefinizione del concetto stesso che anima quello strano pianeta chiamato
contemporanea.
Assolutamente di non facile fruizione nel suo continuo altalenare emotivo ma ricco
di enigmatiche particolarità che si svelano lentamente ascolto dopo ascolto.
Voto: 7
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