(S’agita Recordings/Fringes 2003)
La coppia Carcasi Scerna approda alla S’agita registrando una staffetta elettroacustica dal vivo risalente al 23 febbraio dell’anno in corso. La performance questa volta vede il ritorno della collaborazione vocale di Tiziana Lo Conte (gia presente nel tantrico “P01”) come conduttrice più che centrale di tutto il percorso. Prima di addentrarci nell’espressione trasmessa a chi era presente quella sera, sarei contento di divagarmi un momento su “P02”, seconda opera del gruppo e constatazione piena del mood eterogeneo di cui è composto il suono Kar. Si, perché le strade percorse dai membri sono disparate, scorgendo backgrounds art rock, industrial come nel caso di Carcasi, attenzioni verso le radici del minimalismo storico (La Monte Young, Terry Riley…Angus MacLise per il soave tocco psichedelico…) come in Scerna. Ma anche un leggero rimando alla tradizione focalizzando l’aspetto, se volgiamo, più primitivo del suono tramite l’approccio percussivo mediante l’adopero di ferri, cocci, metalli in genere; qualsiasi oggetto che riesca a trasmettere musica. Trapassando dalla ricerca timbrica nascosta nella materia si passa all’elettronica, ultima tecnologia su scala temporale, adoperata come fine del processo costruttivo. Un veloce excursus sui brani non sarebbe giusto se non venisse menzionato il lento incedere di Immensa Luce in Blu In Questo, dove la melodia crescente adagia la strada agli sferragliamenti ritmici. Facendo paragoni ci troveremo all’unisono l’avanguardia americana degli anni 60 con le timbriche della Oliveros. Ancora l’obliquità dell’ambient di Senza Fissa Dimora, le rarefazioni del suono (a mio modo metalliche) che si ripetono formando un gioco ad incastro di echi in Come Briciole Di Pane. I paesaggi aperti di Mezza Luce vengono brevemente interrotti da piccate di frequenze granulari e il piglio che si fa della musica concreta mi ricorda i primi esperimenti nel campo di Robert Ashley. Un disco, certo, bagnato da rimandi all’era psichedelica, ma anche un concentrato non tendenzioso della musica sperimentale degli ultimi anni. Riaccostandoci a “Check & Set” ritorniamo a parlare della voce protagonista della Lo Conte, le sue nenie dal sapore remoto, l’uso improvvisato dalle sue corde vocali ricorda l’oscurità della Galàs. Non si sente un ego aggressivo, e noioso come le ultime prove nello stesso campo della norvegese Maja Ratkje. Certi giochi con sbalzi di tono si riaccostano ad ambienti prettamente contemporanei. La prima frazione s’interseca fra sketch computeristici, riverberi ambientali e l’incedere continuo della voce. Forse a differenza del precedente album, qui, si sente la ricerca di un suono, a suo modo, più duro e ossessivo, ma non per questo meno affascinante. Continuando fra intromissioni radiofoniche e fruscii disparati si viene trasportati in una zona sospesa tra scenari desertici, mossi da percussioni computeristiche veloci (Jorge Reyes mi sembra non stia male in tal caso) e flirt dove la lentezza è creata dal dialogo tra i metalli percossi e i lamenti vocali. Gli alti e bassi di tensione, questa volta, confermano la voglia di non omologarsi verso una sola direzione, ma la continua ricerca a 360 gradi riesce e consente ai Kar di generare una musica che, difficilmente, si appiattisce…. e si ripeterà all’infinito.
Voto: 9
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