Claudio Rocchetti ‘The Work Called Kitano ‘ ‘But Speak Fair Words’

(Bar La Muerte 2003)

(S’agita Recordings 2003)

Ecco fare capolino un nuovo alfiere della musica elettro-elettronica italiana che, in un arco di tempo piuttosto breve, pubblica ben due CD volti a documentare quanto la sua attività di ricercatore sonoro ha maturato nel periodo racchiuso fra l’inizio del 2000 e la fine del 2002. Si tratta di un work in progress, tutt’ora in corso, che può conseguire risultati considerevoli, dal momento che il Rocchetti è musicista dotato di una forte personalità e di un linguaggio piuttosto personale. Utilizzando soprattutto marchingegni analogici – quando non addirittura uno strumentario classico fatto di chitarre, pianoforti e contrabbassi – fa quasi tutto da solo e limita l’impiego del PC a elemento in grado di sostituire quello che un tempo era lo studio di registrazione. La sua musica è essenzialmente costituita da un susseguirsi di gag drammatiche che possono riecheggiare i game pieces di Zorn e Beresford, il sinfonismo di Stravinsky o le composizioni matematico-aleatorie del Braxton primi anni Settanta. In questo contesto inserisce un gusto particolare per la citazione, dovuto sia ad opera di plunderfonia che a coverizzazione vera e propria, come avviene per il Robin-Proper Sheppard di Tired Nervina (su “But Speak Fair Words”). Il materiale viene sezionato e frantumato allo scopo di studiarne nervi, tendini, viscere ed ossa. O cartilagini… che dal loro puntillismo di frontiera rigenerano un frasario, fragile e trasparente, da abbandonare alla deriva in fondali dark-industrial. Ecco allora emergere fra le macerie, alla stregua di appunti dimenticati, scampoli di melodia miracolosamente sopravvissuti all’opera di distruzione. Forse mutilati, oppure indecifrabili, tremolanti e denudati da quelli che furono abiti confezionati con fin troppa cura.
La musica di Rocchetti non è certo immediata, ma possiede un fascino sottinteso che intriga ascolto dopo ascolto… fin quando ti rendi conto che non puoi più farne a meno. L’unico aspetto poco convincente sta in una drammaticità eccessiva, probabile retaggio del passato hardcore straight edge di Rocchetti, che preferirei vedere attenuata… ma già “But Speak Fair Words” sembra orientarsi in questo senso. Stai a vedere che l’alfiere, capovolgendo ogni regola del gioco, nel giro di poche sfide si trasforma in regina. Un nome da seguire con molta attenzione. (no ©)

Voto: 7

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Autore: sos.pesa@tin.it