Drum Unlimited

Spirito viaggiatore… dal punk di Los Angeles al fascino decadente di Berlino. Scambi di idee con Jason Kahn…

Sound artist, musicista, sperimentatore…batterista. Libero viaggiatore e pensatore Jason Kahn parla di se, dei cambiamenti che l’hanno trasportato dagli Stati Uniti verso il vecchio continente…Berlino. Il fascino decadente di questa città va avanti all’unisono con la congrega elettronica dei primi anni 90. Impro, techno sono stati preceduti dal rossore per l’eccitazione dei primi soli di Ed Blackwell al rullante e per le fresche ritmiche di Hal Blaine.

La ricerca si è limata nel duo con Toshimaru Nakamura, Repeat, mappa in continua evoluzione alla scoperta di nuovi lidi sonori. Se si considera che nel primo full lenght i due adoperavano i propri strumenti in modo canonico (all’epoca  Nakamura teneva stretta nelle mani una sei corde) arrivando all’ultimo si ha l’impressione di essere trasportati da una macchina del tempo dal cui finestrino scorrono parallelamente ritmi tribali, danze oscure, oggetti dall’anima corposa, elettronica…improvvisazione.

Questo incontro vuole, inoltre, segnalare la difficile condizione di Kahn nel venire a esibirsi in Italia e lanciare un appello perché qualcuno si tinga di coraggio aprendo le porte a questa originale figura di musicista.


Salve Jason, sorvolando per un attimo i tuoi progetti, la tua musica, la tua etichetta, ci premeva venire a conoscenza di questo tuo spostamento dal tuo paese d’origine (U.S.A.) verso l’Europa, Berlino per l’esattezza. Negli Stati Uniti non riuscivi a trovare l’atmosfera ideale per esprimere al meglio la tua linea espressiva?

Io mi sono spostato dagli Stati Uniti verso Berlino nel Gennaio del 1990. Allora la mia decisione di muovermi era dettata da una combinazione di diversi fattori. Come tu dici, per ciò che avevo intenzione di creare musicalmente, l’Europa mi ha offerto più spunti e possibilità —non voglio, necessariamente, affermare che l’ascoltatore europeo abbia una visione più ampia rispetto a quello americano, ma in Europa esistono molti più posti dove esibirsi e, certamente, le arti  sono supportate finanziariamente, caso diverso dall’America. Accanto a tutto ciò si situa l’intera storia degli Stati Uniti intorno il 1980, che per me ha rappresentato un periodo, molto repressivo del mio paese.
Spesi molti soldi all’epoca per un tour su tutto il paese insieme a differenti bands. E non era molto carino sapere che nel caso la polizia ti fermava con la macchina trovandoti anche solo una macchiolina di marijuana poteva arrivare a confiscarti la vettura con tutto il materiale dentro—questo atteggiamento è conosciuto come ‘Tolleranza Zero’.  Ero veramente felice di fuggire da quel ambiente repressivo.
Un altro fattore che non ha avuto niente a che fare con la musica nel trasferirmi risale ad un lungo tour europeo nell’autunno del 1989 dove sono stato a visitare alcuni amici a Berlino. Era, precisamente, il Novembre 1989. Sono rimasto impressionato dalle atmosfere sprigionate da questa città—quel senso di giubilo e ottimismo—e la prima volta che ho visto Berlino Est mi sono immediatamente spostato li. Ho realizzato presto, dopo essermi trasferito, che la città era composta da ricche e variegate comunità musicali (aro affascinato dalla musica improvvisata e dal germogliare della scena techno, a quel tempo ancora non commerciale, che capitava di ascoltare solo in piccoli clubs illegali).

Io ho conosciuto la tua musica grazie al gruppo, in cui collabori insieme a Toshimaru Nakamura, i Repeat, potresti approfondire un discorso maggiormente dettagliato a riguardo di questo duo, che mi sembra non conosca pause, ormai sono diversi i dischi usciti ? 

Non c’è molto da dire in proposito poiché sia io che Toshi non abbiamo molto da dire sulla musica che suoniamo.  Siamo andati avanti quasi come amici e i nostri interessi musicali erano piuttosto simili. Abbiamo iniziato questo progetto quando Toshi suonava ancora la chitarra ed io ero seduto sulla mia batteria. Non era una cosa molto elettronica. Ma fin da questi primi incontri era chiaro che noi avessimo un’ottima affinità musicale sia l’uno verso l’altro che verso la musica che componevamo. C’è da dire che non abbiamo mai parlato di ciò che avevamo intenzione di fare o di cosa avremmo dovuto suonare. E’ stato un progetto molto naturale che ha fatto il suo corso in un modo molto semplice.

La batteria è il tuo strumento madre, quello cui ti sei avvicinato per cominciare a suonare, ma più passa il tempo e più rimango colpito da questa tua attrazione per i metalli che sia nel duo sopra citato, ma soprattutto in ‘Drums And Metals” fuoriesce in maniera palese.  Cosa ti incuriosisce di tutto ciò?

Il mio uso dei metalli è il naturale proseguimento dei piatti che suonavo con la batteria. Mi piacciono le radiazioni “sporche” del suono; questo è ciò che significa per me: trame sonore che non sono pure, che contengono del rumore. Per sua natura la batteria produce dei suoni molto impuri—essi possono di sicuro essere regolati; ma non fino al punto di uno strumento come il violino o il piano. Questa predilezione per il suono sporco è determinato dall’uso degli oggetti metallici trovati in giro. Anche quando suonavo solo la batteria, la mia preferenza andava sempre per i piatti molto vecchi, di fabbricazione turca—questi erano fatti a mano ed avevano molta incoerenza acustica. Come in tutta la musica che ho suonato, io preferisco ciò che è sconosciuto, incerto; la sensazione che qualcosa possa andare storto o al massimo non andare come lo avevi programmato. Gli oggetti metallici trovati spesso adempiono questo desiderio (soprattutto quando sono rotti!)
L’uso dei metalli trovati (in contrapposizione ai metalli costruiti per scopi musicali convenzionali, come i piatti) è stato quindi un passo in avanti nella mia ricerca di queste fonti di suono impuro.  Mi piace cercare un oggetto e poi prendere confidenza con esso; trovare i punti dove suona meglio; scoprire come tirar fuori il miglior suono da esso. Di sicuro questo lo si fa con ogni strumento musicale che si suona ma, con gli oggetti trovati, la sorpresa sembra essere sempre più  soddisfacente per me.
Vorrei anche menzionare alcune esperienze musicali che hanno aperto le mie orecchie all’uso dei metalli grezzi. Mentre studiavo all’università di Los Angeles, California, qualche anno prima che cominciassi a suonare la batteria, ho avuto la possibilità di ascoltare in concerto una composizione per percussioni di John Cage. Quella fu la prima volta che vidi qualcuno suonare la batteria rotta e le lastre di metallo! Qualche tempo dopo, andai ad una serie di concerti di “New Music” al Cal Arts. “Ionisation” di Edgar Varese faceva parte del programma. Quest’opera introdusse nel contesto molta di quella musica che io stavo ascoltando nel mondo sperimentale del rock, persone come Z’ev, This Heat, Einsturzende Neubauten: una nuova e unica sensibilità si aprì per me…..
Come nota finale, cito un musicista che fu una vera ispirazione per me, a proposito di metalli: il batterista tedesco Peter Hollinger. Egli era solito trovare oggetti metallici in un modo molto creativo. Portò anche un feeling rock nella musica free improvvisata.

I nuovi mezzi offertici dalla tecnologia servono a migliorare le cose oppure a volte sarebbe il caso di tornare a certi appigli tradizionali, troppe volte dimenticati da altri artisti esclusivamente dediti al digitale?

Tu parli di appigli tradizionali. Io penso che a questo punto della storia della musica si potrebbe tranquillamente dire che anche il computer è uno strumento tradizionale.  So che tanti musicisti si muovono liberamente tra le fonti sonore acustiche e il computer—al punto che le due cose sono indistinte: cosa è acustico, cosa elettronico? Io penso che questo sia il bello di ciò, che sia possibile oggi, anche perché il problema di come i computer o gli strumenti acustici potrebbero essere usati è veramente irrilevante. Non credo che i computer ci consentano di farci fare un passo in avanti nelle nostre scoperte musicali; o che essi accrescano la nostra creatività. Noi siamo solo ostacolati dalla nostra immaginazione—ci sono musicisti acustici che suonano totalmente elettronici; e musicisti elettronici che suonano totalmente organici. Penso che ora che abbiamo superato la novità del computer nella musica, specialmente in un contesto live, possiamo tornare indietro e trattare il suono per amore del suono.—che non è dipendente dagli appigli generati “dal” suono ma “sul” suono stesso e sul come accorgersi di esso.

Ricade non poco nelle domande di rito, l’improvvisazione, quella forma di espressione che nasce dalla spontaneità racchiusa in un momento, quanto fa parte della tuo modus operandi?

Cos’è davvero l’improvvisazione? Diciamo che la gente improvvisa, ma in pratica noi stiamo sempre basandoci su un repertorio di gesti motori e su idee musicali sviluppate nel corso degli anni. Noi possiamo inconsciamente scegliere e raccogliere da  questo repertorio, ma esso non è nient’altro che il nostro bagaglio di trucchi.
Per quanto mi riguarda, l’improvvisazione mi coinvolge mettendomi in una situazione dove lotto per andare oltre il mio repertorio inconscio di esperienze collettive musicali, Questo è, di sicuro,  una cosa quasi impossibile da realizzare; ma cerco di essere cosciente di questo aspetto che si nasconde dietro l’improvvisazione e trovo che, nel suonare in diverse situazioni con diversi strumenti (percussioni, sintetizzatori analogici, computer), sono alla fine costretto a muovermi tra i gesti motori musicali (le percussioni) e i gesti meta-musicali del computer. Non improvviso soltanto. Io compongo anche musica e creo installazioni sonore. L’improvvisazione gioca un grande ruolo nella musica che io suono dal vivo, ma ho anche suonato in molte situazioni musicali non improvvisate. Non preferisco l’improvvisazione nella composizione della musica. Ciò dipende dal suono finale: questo mi stimola? mi ispira?

In una recente mail mi accennavi di un imminente arrivo tuo in Italia per esibirti dal vivo…cosa pensi del nostro paese, del circuito sperimentale che vi ruota attorno. Cito ad esempio artisti come Giuseppe Ielasi, Tu’m (di cui sei stato il primo a promuovere un loro disco), Alessandro Bosetti. Hai mai ascoltato niente…..le tue sensazioni?

Io mi vergogno quasi nel dire che conosco poco la comunità sperimentale del suono italiana. Tornando indietro alla metà degli anni 90 ho speso del mio tempo visitando Bologna e venendo a contatto con  musicisti coinvolti nel ‘Link Project’. Ho trovato questa scena bolognese molto energica, molto forte.  Ho conosciuto Giuseppe Ielasi ad un concerto che organizzai per lui e Dean Roberts al mio ‘Sonique Serie Concert Series’ a Zurigo.  Fu un grande concerto. Penso che se avessi la possibilità di esibirmi in Italia avrei voglia di entrare in contatto con le differenti correnti musicali presenti. Sfortunatamente, fino ad ora, ho trovato molto difficile la ricerca di situazioni, eventi dove suonare nel vostro paese.

La tua formazione da dove comincia. Quali sono i tuoi idoli e non mi riferisco esclusivamente a figura accademiche od avanguardistiche, ma anche ad icone più popolari che possono celarsi nel rock, nel jazz……?

Il mio background musicale è iniziato con il punk rock. Cominciai a scoprire la musica quando cominciai a frequentare locali punk a Los Angeles alla fine del 1970. Prima di frequentare questi posti  l’unica volta che avevo sentito della musica dal vivo era in qualche grande stadio con migliaia  di persone e i dei del rock lontani un milione di miglia su di un  palcoscenico enorme. Vedendo le persone chiudersi, al contrario, su di un palco piccolo mi ha fortemente ispirato nel fare e mettere in pratica la mia musica. In questo periodo a Los Angeles,specificamente anni 70 e inizi 80, erano attimi  vibranti, con molti clubs, molte bands—c’era qualche cosa nell’aria. E quello che si respirava era irresistibile.  Era molto bello sapere che potevi creare le cose da solo: inaugurare una band, gestire una propria etichetta, aprire un locale, intraprendere delle mostre individuali, acquistare un furgone e partire fuori in giro per un tour. Certamente, anche questa scena ha avuto le sue rockstar che hanno fatto carriera, ma all’inizio tutto entrava a far parte di un’esperienza, l’atto. Porto ancora con me questo spirito oggi giorno, correndo con la mia label e organizzando concerti per me ed altri artisti.

I miei idoli sono i batteristi…wow, e anche molto. E forse non userei il termine ‘idolo’, quanto ‘ispirazione’. Io ho indovinato dapprima che prendessi confidenza con lo strumento, perché ero ancora troppo giovane, chi fosse un batterista fonte d’ispirazione per me…era Hal Blaine. Lui era un batterista di session, il quale aveva suonato in molti hit anni 60 del cosiddetto California Sound (The Beachboys, The Mamas and The Papas, Phil Spectors’ “Wrecking Crew,” The Byrds, The Carpenters…molti, molti altri ancora). Dico che è stato lui fonte ispirativa, perché amavo udire la musica come un bambino, specialmente dallo stereo della macchina che guidavo intorno Los Angeles con mia madre.
Più tardi, quando ho cominciato a suonare, Ed Blackwell fu il primo musicista che fece nascere in me un pensiero profondo dello strumento, ma anche della musica in generale. Il suo approccio
era melodico, leggero, anche se in movimento—non avevo mai sentito così tanta espressione fuoriuscire da una batteria sola.
Anche Moe Tucker dei Velvet Underground mi ha fornito un lotto di nozioni per pensare. Il suo era un approccio che ha colpito per la semplicità, per la  pronuncia ingenua che usava—con svariate idee poteva dirigere la trasformazione di una canzone. Ho, così, imparato molto del subtley e dell’economia dell’udire il suo suono.

Il tuo cammino musicale va avanti di pari passo con la tua etichetta la “Cut”, che oltre ad inglobare lavori tuoi,  serve a divulgare altri nomi della scena internazionale…cito la scarnezza di Jason Lescallet…Progetti per un futuro prossimo?

In Settembre di questo anno farò uscire un cd  di Günter Müller, Ralph Steinbrüchel and Tomas Korber—consisterà in una registrazione live e tre remix di questo.
Ci sono anche altre uscite pianificate per la Cut, ma non sono confermate al 100 per cento, quindi non posso dirti molto a riguardo.

Link correlati:    www.cut.fm

Un ringraziamento particolare va ad Alfredo Rastelli per l’aiuto concesso nella traduzione dell’intervista.

 

Sergio Eletto