Stonedhenge

“STONEDHENGE”

autore: Ten Years After

etichetta: Deram

anno di pubblicazione: 1969

con: Alvin Lee, Leo Lyons, Ric Lee, Chick Churchill, Mike Vernon, Roy Baker, Martin Smith, Count Simon (Stable) de la Bedoyere, The Bird.

Seppure la loro produzione più tarda sia stata deteriorata da una mediocre svolta hard, i Ten Years After dell’adolescenza si distinguevano dagli altri gruppi del rock-blues inglese per i toni morbidi, jazzati e swinganti della loro musica. Ma Stonedhenge è un disco talmente strano e particolare che male si cala anche all’interno della prima, e più valida, discografia del gruppo. Stonedhenge è un concept album, ma va inteso così per come è strutturato e non con il significato ampolloso che tale definizione assumerà in seguito. I sei brani portanti sono inframezzati da quattro frammenti solisti, un’idea simile a quella avuta nello stesso anno dai Pink Floyd di Ummagumma anche se i toni soffusi fanno di questo disco un parente stretto, più che di esso, di Who Sell Out. Nei cambi di ritmo e intensità che tagliano Going To Try e No Title – perdonabili le allusioni doorsiane del primo – è contenuto il succo della smagliante ispirazione che la chitarra più veloce del west ha trovato fra i preistorici monoliti del Wiltshire e fra gli stessi ha poi irrimediabilmente perduto. Il sito archeologico più famoso d’Inghilterra viene però addizionato di una ‘d’ che lo fa ‘stoned’, da ciò deriva forse quell’indolenza – ben strana per l’epoca – che scorre nelle vene dei due brani e anche in quelle di Woman Trouble, Hear Me Calling, A Sad Song e Speed Kills. Alla sola Skoobly-oobly-doobob, scheggia chitarra-voce di un benzinato Alvin Lee, è riservato l’ingrato compito di risollevare il morale agli irriducibili che rimpiangono Goin’ Home. Ci penseranno poi Sssssh e Cricklewood Green a ricondurre il gruppo fra le braccia dell’ortodossia blues-rock, prima che Watt dichiari la resa definitiva.