(Glitterhouse 2003)
E’ proprio vero che ciò che rende tollerabile siffatta esistenza ha a che fare con la contingenza e l’inaspettato.
Eccoci alle prese con un album nato per caso, registrato nei ritagli di tempo di un tour altrettanto improvvisato, realizzato da una band senza formazione stabile che mette in musica versi appartenenti a una tradizione folk talmente indistinta e lontana da essere etichettata come “unknown” e, per finire, con la collaborazione di ospiti occasionali come Kristine Hersh o Blake Hazard.
Se non avessi appena inserito un oggettino nel lettore e non vedessi i led muoversi sincronicamente con ciò che sento, potrei tranquillamente dire di stare sognando. Non tanto per l’inconsistenza autoriale dell’operazione “Regard the End” appena descritta, ma per l’abbandono onirico in cui queste ballads mi hanno gettato fin dal loro primo ascolto.
Chiunque abbia mancato l’appuntamento con i precedenti capitoli di una discografia disordinata quanto prodiga di autentici gioielli (vedi soprattutto “Mojave” e “Everything’s Fine”), commetterebbe più di un delitto se non decidesse di riparare con questo nuovo splendido album.
Le oscure atmosfere dark folk restano quelle di sempre, il cantato di Robert Fisher tra il Nick Cave più sobrio e uno Stuart Staples meno singhiozzante è da brividi come sempre. Ciò che rende diverso questo album è però forse una maggiore apertura per soluzioni meno “isolazioniste”. Valgano per tutti i brani più “classici” come l’inarrivabile The Trials of Harrison Hayes o la ‘cavalcata’ melodica di Soft Hand capace di coniugare derive Dylaniane e la compostezza pop di Tindersticks (i ricami di violino) o di Belle & Sebastian versione country (le trombe). A queste fanno poi da contraltare brani più ‘familiarmente’ tenebrosi come Another Man is Gone con voce tra Morrison e Lanegan, la dolce litania di Fare Thee Well o la disperata malinconia della lunga The Suffering Song finale. The Ghost of the Girl in the Well poi è pura magia noir reiterata in un crescendo di struggimento degli strumenti a corda… ma perché continuare?
Un solo consiglio: abbandonate tutti i miraggi neo-country/neo-acoustic/neo-idiozie che vi propinano da un po’ di tempo in qua e cedete alla seduzione irresistibile di musica fatta soltanto di anima, al fascino dello stordimento meditativo in cui può gettarvi una sei corde (presente i Red House Painters?), cedete al fascino della reinterpretazione senza tempo… o se non altro… a quello della casualità di cui si diceva in apertura.
Voto: 9
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