(Dedear – 2003)
Lo scorso anno, occupandoci di “Hai Wakarimashita!”, secondo folgorante singolo dei Girlinky, avevamo concluso reclamando a gran voce l’esordio sulla lunga distanza. Abbiamo dovuto pazientare un anno intero ma, alla fine, siamo stati accontentati e con “I want the tsunami”, questa band, neozelandese di origine e londinese di adozione, è giunta al primo album.
E’ senz’altro valsa la pena attendere tanto tempo, poiché questa raccolta di canzoni non fa che rafforzare le nostre convinzioni circa le enormi potenzialità dei Girlinky.
Trattasi infatti di un lavoro che racchiude in sé e rimescola sapientemente quanto di meglio il pop globale abbia saputo offrire negli ultimi quindici anni. Prendete gruppi pop inglesi, quali i Primitives dei tempi di “Pure” oppure quella luminosa e indimenticata meteora che furono gli Shop Assistants o, ancora, i Darling Buds di “Crawdaddy” o “Erotica”, gli australiani Hummingbirds (in particolare quelli dei primissimi singoli e del primo album “Lovebuzz”), gli americani Nada Surf (specialmente quelli degli esordi), i Weezer prima maniera e i Rentals, aggiungete bizzarrìa elettronica in quantità industriale, mescolate tutto a ritmi prevalentemente, ma non necessariamente, sostenuti e avrete un’idea di quale piacere “I want the tsunami” può regalare alle vostre orecchie se gliene offrite la possibilità.
Non dando mai l’aria di prendere se stessi troppo sul serio, i Girlinky riescono brillantemente a rifuggire la tentazione di essere meramente derivativi e scontati. Con toni perennemente scanzonati e irriverenti, per non dire esilaranti, spiazzano in continuazione l’ascoltatore, alternando tratti di esaltazione melodica musicale e vocale (”Newspaper round”, ”Dunedin”, ”Cowboy conscience” e “Mister convoluted”) a caotiche fiammate di isteria (la già citata “Hai wakarimashita!” e la conclusiva “Kim Deal called me a pussy”).
Disinibito, estroso e innovativo o folle e delirante, a seconda dei punti di vista, “I want the tsunami”, con tutta la sua imprevedibilità, si propone come un album arioso e simpaticamente sinistro allo stesso tempo.
Fatico a credere che un disco simile sia frutto di un’autoproduzione e che nessuno si sia ancora accorto di questo quartetto, che pure ormai da tre anni si esibisce regolarmente in quel di Londra e dintorni. Qualcuno trovi loro un’etichetta. E al più presto. Il futuro del pop passa senz’ombra di dubbio anche da queste parti.
Voto: 9
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Autore: acrestani71@yahoo.com