Stormcock

“STORMCOCK”

autore: Roy Harper

etichetta: Harvest

anno di pubblicazione: 1971

con: Roy Harper, Jimmy Page, David Bedford.

Nomadi e stanziali, pastori e agricoltori, questa ci dicono essere stata la diatriba, conclusasi con il sopravvento cruento dei secondi, che ha diviso il mondo fin dai tempi di Abele e Caino. Nel contesto di quelli che sono stati i vincitori mi sembra possibile fare un’ulteriore distinzione fra seminatori e raccoglitori, impegnati in una nuova battaglia dagli esiti ancora incerti. Un seminatore è senza dubbio Roy Harper, che ha influenzato mezza Inghilterra canora, e fra i raccoglitori, a volte riconoscenti e altre no, possiamo mettere Led Zeppelin, Pink Floyd, Jethro Tull, Incredible String Band… e la lista può continuare. Dopo esperienze di manicomio (con tanto di elettroshock) e galera, Harper entra nel mondo della musica dalla porta secondaria, quella posta alla fine di un apprendistato come busker per le strade di Londra. Superata quella porta, però, il suo percorso si arresta nel limbo riservato ai nomi di culto; e pensare che nei primi anni Settanta bastava essere un cantautore per cavarsela alla grande (anche cani e James Taylor ebbero un boom spropositato). Stormcock, con le sue lunghe ballate a metà strada fra il Dylan e il Barrett più surreali, è il suo disco più visionario e svetta come l’Everest all’interno di una produzione che può comunque essere paragonata, almeno per quel che riguarda gli anni pre-1975, alla catena dell’Himalaya. Particolare attenzione va rivolta a The Same Old Rock e Me And My Woman, l’uno perché confortato dalla chitarra di Jimmy Page e l’altro a causa di una pertinente orchestrazione inventata da David Bedford; ma Hors D’Oeuvres e One Man Rock And Roll Band, dove la statura dell’uomo si erge in impressionante solitudine, sono ancor più emozionanti.