“THE END OF THE GAME”
autore: Peter Green
etichetta: Reprise
anno di pubblicazione: 1970
con: Peter Green, Zoot Money, Godfrey MacLean, Nick Buck, Alex Dmochowski.
Questo disco è nato podalico, inizia infatti con una dissolvenza in crescendo e termina con un taglio netto, improvviso e imprevisto. L’autore è un fenomeno della chitarra al top delle sue possibilità, ma anche al suo capolinea creativo; precedentemente Green aveva fatto parte dei Bluesbreakers di John Mayall, un ottimo album come A Hard Road, e dei Fleetwood Mac, per i quali aveva scritto grandi cose come Albatross, Black Magic Woman, Oh Well, Green Manalishi, Rattlesnake Shake e Underway, fra le cui trame possiamo individuare, in nuce, gli sviluppi di questo esordio solista. L’uscita di The End Of The Game autorizzò la critica a parlare di jungle rock, un termine che poi è caduto nel dimenticatoio dal momento ch’è rimasto legato a un fenomeno unico, isolato e incapace di dare impulso al benché minimo accenno di fertilità. Quello fatto da Green, in realtà, è un tuffo nella musica nera più impetuosa, con un bell’alternarsi di atmosfere jazzy, afrodeliche e finanche free, come avviene nella prima parte di Descending Scale e nelle lame di luce che squarciano la fantastica title track. Lo stile chitarristico rimane costantemente lirico e suggestivo, e mai, nonostante l’uso ostentato del pedale wah-wah, si allontana da un discorso di pura espressività per abbracciare il partito del virtuosismo fine a se stesso; ma, a proposito di lirismo, è utile ascoltare le atmosfere pacatamente poetiche di Timeless Time e Hidden Depth, titoli che fanno seguito, rispettivamente, all’incalzante sequenza di Bottoms Up e alla frenetica farneticazione tribale di Burnt Foot. Un’ultima postilla riguarda lo spazio lasciato ai musicisti del gruppo, una scelta, vista la stoffa dei partecipanti, che appare quasi obbligata.