“HEJIRA”
autore: Joni Mitchell
etichetta: Asylum
anno di pubblicazione: 1976
con: Joni Mitchell, Jaco Pastorius, Larry Carlton, Bobbye Hall, Victor Feldman, John Guerin, Max Bennett, Neil Young, Abe Most, Chuck Domanico, Tom Scott, Chuck Findley.
Già guardando le raffinate foto in bianco e nero che adornano la copertina è facile intuire l’accuratezza, l’eleganza e il gusto estetico che sottintendono a questo disco, qualità che sono comunque proprie dell’autrice, una vera ‘signora’ il cui look contraddice l’ondata punk che in quegli stessi anni sta esplodendo un po’ dovunque, e la musica fa eco alle immagini, estremamente sofisticata, delicatamente jazzy, moderatamente elettrica… un esempio di buongusto e d’equilibrio. Direi che, come sempre avviene nei dischi della Mitchell, Hejira è uno spaccato della sua generazione, quella nata ribelle e che si sta trasformando in gruppo dirigente, da hippies a yuppies, conservando tuttavia un certo anelito di libertà. Eppure Hejira è un disco molto più vero, e molto meno patinato, di tanti lavori falsamente grezzi con cui i vari poseur di turno stanno nel contempo sfruttando l’inquietudine giovanile. Il tema è quello del viaggio: durante un viaggio queste canzoni sono state composte, evidentemente su una chitarra, e dalle sedute di registrazione, in rispetto a ciò, sono stati banditi gli strumenti a tastiera. L’agilità che ne deriva, una liquidità caparbiamente voluta, dona a tutti i brani un senso di movimento, di continua fuga e ricerca, anche quando, come nella splendida Amelia, le cadenze sono estremamente pacate. C’è da dire, ancora, degli egregi testi autobiografici, attraverso i quali l’autrice si denuda coraggiosamente davanti al proprio pubblico. Un unico rimpianto, per Pat Metheny che arriverà alla corte della lady soltanto qualche stagione più tardi. In molti, David Sylvian, Suzanne Vega, Björk…, hanno osato affrontare un cantautorato così raffinato ma nessuno ha mai sfiorato, neanche lontanamente, queste altitudini.