“MELVINS”
autore: Melvins
etichetta: Boner
anno di pubblicazione: 1992
con: King Buzzo Osborne, Joe Preston, Dale Crover.
Originariamente si intitolava Lysol ma la ditta produttrice di articoli per la pulizia della casa pose il suo veto e, nelle copie della seconda distribuzione, il titolo venne coperto con uno sticker per poi scomparire del tutto, in tal modo la copertina, che già era priva di ogni riferimento ai singoli brani, divenne ancor più minimale e Lysol fu conosciuto semplicemente come Melvins (o meglio ancora come il disco con l’indiano). La musica, autentico ambient per panzer, riflette il minimalismo della copertina e si muove sadicamente ai ritmi di un bradipo corazzato. I sei brani scorrono senza alcuna soluzione di continuità e accumulano tensione su tensione, che si allenta solo nel bolero intonato intorno ai ventiquattro minuti. In questa caldera di lava ribollente è arduo scorgere la presenza di ben tre cover: Sacrifice dei Flipper, terzo brano nel vinile e ai 18:23 nel CD, Second Coming e The Ballad Of Dwight Fry di Alice Cooper, quarta e quinta traccia rispettivamente nonché ai 24:30 e 25:45 nel CD. Eppure ci sono. Più di metà disco è però occupata dalla pesante accoppiata iniziale, Hung Bunny (10:59) e Roman Dog Bird (7:19), che fa pensare ai tentativi di volo effettuati da un grande uccello incatenato… ma quando vengono tolte le catene quel volo è bruscamente interrotto da una fucilata. I Melvins sono gli unici eredi dei Black Sabbath, dove però i riferimenti dark vengono trasformati in una pesantezza che non è esente da influenze industrial, e avranno a loro volta un’enorme influenza sul nascente grunge, sulla psichedelia narcolettica, sullo stoner, sul doom metal… ma non solo e la loro grandezza sarà riconosciuta anche da vari alfieri della sperimentazione, come i Naked City di John Zorn. Semplicemente micidiali.