(BMG/Venus Distribuzione 2003)
Quando la prima traccia di “La moda del lento” dei Baustelle inizia a diffondersi dalle casse – per la cronaca si tratta di Cin cin – trova conferma l’impressione che chi scrive ha avuto dopo aver ascoltato la musica di questo gruppo toscano per radio (la trasmissione “Dispenser” di Radiodue è un’accanita sostenitrice dei nostri): una sensibilità “pop”, una proprietà di scrittura “cantabile” così pronunciate le possiedono davvero in pochi, in Italia e non solo. Perché, infine, sono queste attitudini che fanno la differenza: non solo le sigarette o un suadente erotismo evocati ossessivamente – con eleganza, senza dubbio: sentire Mademoiselle Boyfriend, ma anche la ben più inquietante Il seno – nei testi delle canzoni ne la ripresa sonora dei vari immaginari sonori che hanno attraversato l’etere italiano degli ultimi trenta anni (si sta parlando naturalmente di riferimenti quasi tutti esorbitanti dalla strada principale delle cosiddette “canzonette”: potrei citare la Nada di Amore disperato e i Diaframma dell’album “Boxe” – tra l’altro, alcuni tratti vocali di Federico Fiumani si trovano anche in Francesco Bianconi – per cominciare, ma si potrebbero evocare i fantasmi di certo Garbo più solare o del suono “spaghetti-disco” o “tecnopop” e si sarebbe solo all’inizio…). Tutto ciò sarebbe vano snobismo se non ci fossero grandi canzoni, di quelle che si fanno cantare con celerità senza “svendersi”, come Arriva lo ye ye (di un’immediatezza strepitosa), La canzone di Alain Delon, La settimana bianca Bouquet, Arrivederci (perfetta colonna sonora di un Enrico Maria Salerno degli anni Settanta, regista di pellicole che vedevano protagoniste Florinda Bolkan, Catherine Spaak, Maria Schneider, Ornella Muti, Monica Guerritore…) e la traccia fantasma che segue quest’ultima: pezzi spesso in miracoloso bilico tra orecchiabilità ed eccentricità, grazie anche ad arrangiamenti mai banali, lontani da ogni ossequioso revivalismo nel loro mischiare le carte (sentire Love Affair e La moda del lento; d’altronde basta andare sul sito del gruppo e vedere quali e quanti strumenti utilizzino Francesco, Rachele Bastreghi, Claudio Brasini, Fabrizio Massara, mentre più “contenuti” sono il bassista Stefano Vivaldi e il batterista Samuele Bucelli).
Insieme ai grandi Fare Soldi – diverso il contesto sonoro, eguale la capacità manipolatoria e il gusto antiordinario – i Baustelle rappresentano la migliore esemplificazione del giusto rapporto memoria/futuro nel fare musica apparentemente leggera, ma con alto grado di conservazione.
Voto: 9
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