(Ondanomala Records 2003)
Alle volte quello che si desidera è solo una pausa nel chiacchiericcio internoesterno. Staccare un attimo il cervello, momentaneamente galleggiare nella risacca, cullati da musica lontana. Dove, dove, dov’è quest’oasi di luoghi comuni nella quale crogiolarsi lontani da rimorsi e sguardi indiscreti? Sarà per quanto mi sia allontanato da qualsiasi forma di editoria (da quella piu’ fan-atica a quella piu’, hihihi, seria) ma questa compilation, prodotta da Ondanomala Records (etichetta orbitante intorno Arezzo Wave, e viceversa) si è piacevolmente adagiata nel mio lettore per diversi giorni, concedendomi svago e pausa.
Lo ammetto, parecchi degli artisti qui contenuti non sono fra i miei ascolti di sempre, ne probabilmente lo saranno mai, ma, come dicevo prima, sarà questa specie di semi-libertà condizionata che sto vivendo, il fatto di dare play e mettere in off buona parte delle pre-comprensioni mi fa affrontare il tutto con spirito positivo (ma sempre fanculo a Jovanotti). E’ stato divertente, riposante.
Riassumendo: una buona amalgama di cose diverse, ma non troppo, fra il funkeggiante, l’electro d’annata, i breaks ben tagliati ma non troppo astratti, i ritmi allucinati di certa scena under.
Insomma un occhio a ciò che può esser considerato pop electronic e l’altro a formare un significato alla parola club, che in italia vive ancora su analogie mal formate.
Già i primi pezzi del cd potrebbero giustificare per molti il costo del supporto:David Holmes con un piacevole funk beat secco e garagistico, Dj Krush con un pezzo nel quale, fatto raro, la voce di Angelina Espanza costituisce linea guida soul, i Dalek con una ventata di astrazione hip hop fatta di ritmiche scuoti stanze e tappeti in delay esoterico. Che ne dite eh?
Ma noi siamo incontentabili, andiamo avanti, ce ne vuole per convincerci. Dopo una fase centrale piu’ interlocutoria e leggera, The Solbaron (i siciliani Luigi Barone e Kikko Solaris) ci fa accomodare su una poltrona fatta di ritmiche etniche che a tratti si infittiscono (e complicano) e bassi avvolgenti, gli Scan 7 ci martellano con la loro Detroit techno dal vivo fatta di togliere-aggiungere e ricorsi ad un archivio di suoni storici (devo proprio citare la Roland?), gli Ether ci ri-sincronizzano con un’elettronica piu’ cerebrale (di cui, beh, cominciavamo a sentire la mancanza) introducendo a un beat allucinato-diffuso in stile Chain Reaction dei Rechenzentrum. Grandissima la last track di Ulrich Troyer ad incasinare qualsiasi linea conduttrice ci si possa esser formati in testa fin’ora (fra brain dance dislessica e soul).
Mi rendo conto come tutto questo possa sembrare un pasticcio eterogeneo, ma datemi retta non lo è. Ondeggiare a-scenico di elettrocoinvolti a prezzo politico
Valutate e ascoltate.
Voto: 8
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