(Rough 2003)
“Actually, I don’t care because i’m having a lot of fun…” Stuart Murdoch 21st July ’03
Spero vivamente che la maggior parte di quelli che si ritroveranno in mano questo disco abbiano già passato quella crisi che divide a metà la nostra vita e comincia quando ci si sorprende a riflettere sulle pretese del pop. Spero anche che abbiano capito ormai da tempo di quanto sia necessario essere ottimi equilibristi e giocolieri per saper rimanere sulla superficie, che per definizione è qualcosa di infinitamente sottile…Il pop esce fuori quando di pretese si tende teoricamente a non averne. Non a caso a questa storia delle pretese ci si comincia a pensare mentre accanto a noi, che abbiamo l’alibi del viaggiatore di poter far nulla, scorre sul finestrino un paesaggio a velocità regolare, mentre le persone salgono e scendono, tutto quanto a farci uno schemino di quanto la nostra vita non sia più seria di un road movie, di un disegno animato dove un bambino e un cane più grande di lui sono l’emblema di chi non sente nessun luogo come casa propria.
Si ha la sensazione che le dodici tracce, che non hanno nessun problema ad amalgamarsi nella forma di album, siano state scritte in autobus come narra la leggenda, ormai mito, che vuole il nostro Murdoch seduto in un qualche mezzo pubblico a cercare l’ispirazione nelle facce delle persone, nell’unico luogo in cui spesso hanno tempo di pensare. E alla fine non importa nulla se le citazioni si sprecano, spesso impacchettate con una buona dose di ironia, arte in cui Stuart è sempre mago, non ci si lascia nemmeno spaventare dalle affermazioni apocalittiche degli scrittori bloccati che annunciano l’imminente fine delle possibili combinazioni di frasi e note. Nella micidiale corsa ai suoni “nuovi” capita che ci si lasci indietro un sacco di cose, ed è un peccato. “Dear Catastrophe Waitress” svela lentamente la sua vera natura nascosta sotto le mentite spoglie di raccolta di canzoni da ascoltare mentre si fa qualcos’altro. Lo si vede quando si comincia a mettere il sale nei biscotti proprio nel bel mezzo di I’m a cockoo o quando nella lavatrice infiliamo un calzino blu fra le lenzuola mentre il corridoio di casa è tutto pervaso da Stay Loose. Una rivelazione di cui risentiamo gli effetti quando una alla volta le tracce cominciano a diventare indispensabili per almeno le due settimane successive e si fanno sentire anche a stereo spento.
Voto: 8
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Autore: agalassi@tin.it