“STUTTER”
autore: James
etichetta: Sire
anno di pubblicazione: 1986
con: James Patrick Glennie, Gavan Michael Whelan, Timothy John Booth, James Lawrence Gott, Martine Anne McDonagh, Jenny Belinda Glennie.
Dovessimo fare, in un pubblico confronto, da paladini ai James verremmo sicuramente sconfitti. La voce rotonda di John Booth è irritante per quanto è priva di scorie, così come lo sono le melodie, esempi di perfezione assoluta, e quel mood pomposo, tipicamente inglese, che a tratti scivola pericolosamente verso il kitsch allo stato puro. Infine, colmo dei colmi, da adulti si sono fatti produrre dal Brian Eno post-U2. Però, anche nei momenti di più basso profilo, hanno sempre dato ospitalità a ottimi musicisti, come quell’Andy Diagram nato nell’underground (Honkies e Spaceheads) e poi finito nei Two Pale Boys. È indubbio che i James di questo primo disco, rispetto ai tanti colleghi che (troppo) spesso godono di un’esagerata stima, hanno una marcia in più. Le canzoni, rette quasi sempre da ritmi veloci, abbinano echi di musica popolare ad una modernità prettamente post-wave, la loro struttura è asciutta e la sontuosità, frutto dell’enfasi esecutiva e non di inutili orpelli, non riesce mai a intaccare quel mood che, a dispetto di una certa elaborazione, suona straordinariamente semplice. Skullduggery, Scarecrow, Really Hard, Billys Shirts, Why So Close e, anzitutto, quella meraviglia che è Withdrawn sono i brani migliori di un disco che non mostra cedimenti. Alla consolle c’è Lenny Kaye, del Patty Smith Group, che a suo tempo aveva curato la storica compilation “Nuggets” e che, quasi in contemporanea con questo esordio, firmerà anche quello di Suzanne Vega. Ma, ne sono certo, malgrado queste argomentazioni, a dire il vero piuttosto deboli, il settore degli intransigenti lancerà uova sul banco della difesa, mentre gli altri continueranno a preferire i vari Happy Mondays, Stone Roses e Oasis.