(Circumvention 2003)
Il quartetto composto da O’Keefe, Stanyek, Walton e Whitehead si presenta con una delle classiche formazioni jazz: sax, tromba, basso, chitarra e piano. Una musica però che stenta a rimanere circoscritta nei canoni del genere ma prova il sorpasso a destra in virtù di un atteggiamento e una concezione libera e avanguardistica della materia. Fidandoci delle parole di Wadada Leo Smith, che tiene a battesimo quest’opera, siamo al cospetto di una musica che viene dal cuore ma che soprattutto mira ad esso. Ci dice ancora che è un suono da intendere come un unico flusso continuo che si muove e si sviluppa secondo forme orizzontali. Non possiamo che concordare. Le 7 improvvisazioni dal vivo che compongono il disco vedono il quartetto agire non più per sottrazione ma proiettato a sviluppare il loro suono tramite movimenti che tendono all’interazione tra le parti, all’arricchimento di particolari seppur a volte in maniera minima e di sottofondo. Gli strumenti, i suoni, si muovono per stratificazioni, attenti a coprire e ricoprire il substrato sonoro; le note sono tirate ai limiti, i fiati, sulla spinta degli insegnamenti di Evan Parker, si fanno stridenti fino ad assottigliarsi, le note del piano fanno la loro comparsa col contagocce, la chitarra, discreta quando è acustica, rumorosa quando si fa elettrica, dona in questi ultimi casi un tappeto industriale e sottilmente disturbante da farci pensare ad una AMM ridotta ai minimi termini. Barlumi di relativa accessibilità emergono nel contesto di quando in quando: un fraseggio di jazz noir al piano, qualche nota riconoscibile di sax messe in serie una dopo l’altra. Un lavoro notturno e catramoso, complesso ma nondimeno affascinante.
Voto: 8
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Autore: agguato@hotmail.com