Gigi Masin/Giuseppe Caprioli ‘Moltitudine in Labirinto’

(Ants/Silenzio 2003)

In punta di piedi e senza troppo rumore a due anni di distanza dal precedente
‘Lontano’ Gigi Masin torna a regalarci nove fragili e serene miniature
preziose.
Il lavoro odierno prodotto ed ideato a quattro mani con l’esordiente Giuseppe
Caprioli ci consegna una visione dell’universo Masiniano insolitamente
oscura e se possibile ancor più minimale del solito. Per chi non conoscesse
il lavoro di Masin bisogna subito chiarire che non stiamo parlando di un’artista
di primo pelo in quanto questo risulta essere il sesto disco prodotto dal
musicista veneziano che dall’esordio di ‘Wind’ datato 1986 fino ad oggi
ci ha spesso e volentieri regalato gemme di notevole valore come ‘The Wind
Collector’ del 1991 ed il disco per la Sub Rosa equamente diviso con
Charles Hayward (ex-This Heat mica cazzi) del 1989.
Le strategie compositive di masin sono caratterizzate da un’estrema semplicità
che spesso e volentieri si tramuta in un cangiante romanticismo minimale che preferisce
le cose non dette alle cose dette. Ascoltare nel nuovo lavoro la
struggente bellezza di un brano impalpabile come Coral è esperienza
rinfrancante per i nostri stanchi padiglioni auricolari, una sottile e malinconica
linea pianistica che si snoda nel silenzio nascondendosi pudica fra immaginarie
pieghe di sogno; poi segue la visione mooolto oscura di Ipogeo dove realmente
ci si trova al cospetto di qualche misterioso ed antico rito propiziatorio. Una
discesa che in qualche modo si potrebbe anche far risalire a percorsi cari al
signor Lustmord più quieto e meditativo. Pura trascendenza.
Le coordinate generali di questo nuovo lavoro paiono essere proprio la riuscita
convivenza fra atmosfere placide e sognanti grondanti umori figli sia di Eno
che di Satie ed altre più oblique che non possono non ricordare
qualcosa di vagamente in odor di dark ambient; dei Cranioclast immersi
nei tramonti brumosi di Venezia?
Credo che il lavoro di Caprioli sia stato notevolmente influente in questo deciso
cambio di rotta espressiva fornendo adeguato disturbo alle atmosfere generali
come nell’incantevole Moltitudine dove di nuovo si assiste a questo strano
connubio fra serene melodie ed oscure presenze rituali che nel finale del brano
acquistano una notevole somiglianza con le creature primitive dei Popol Vuh.
La discesa finale con The Butterfly’s Tale e la successiva Vertical
è assolutamente una delle punte più alte raggiunte da certa
scuola minimalista nostrana, field recordings tenui ed impalpabili,
una vena elettronica dismessa e ritorta dolorosamene su se stessa e delle melodie
semplici che sanno tirar giu le lacrime di Dio.
Vertical è atroce sentimento d’estasi che si sposa con ampi scenari
assolati troppo belli per essere raccontati; puro spirito.
Fragilissima sfera di cristallo più leggera dell’aria; un sogno infinito.

Voto: 8

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