live @ VELVET ROCK CLUB, Rimini 6.3.2004
Il website li ritrae in una polaroid lunga, non cliccabile, che precede solamente le date dei live imminenti. Ed è solo questo che so, oltre a qualche copertina furba e generosa qua e là, interviste, articoli e news scritti con l’entusiasmo, ormai venuto a nausea, che caratterizza ogni nuova uscita che sfrutti il lancio newyorkese. Meglio ancora se i protagonisti sono giovanissimi, se i leader sono un uomo e una donna e, come se non bastasse, fratelli o presunti tali. I paragoni sono facili, ma è facile anche cadere vittima di questo giro di apparenze che mette tutti nello sacco e dà poca importanza a quello che caratterizza ogni band in quanto tale.
Che i Fiery Furnaces avessero una personalità interessante, tale da mettere in parte in ombra il loro essere parte della ormai soffocante ondata retrò,l’ho sospettato ascoltando una volta e mezzo il loro album, Gallowsbird’s Bark, prestatomi in fretta qualche ora prima della performance live. Ho pensato che il ritmo ermetico, che si insinua fin dalla prima traccia come una griglia su cui stanno poche altre cose, non mi sarebbe dispiaciuto sentirlo live e non avrebbe faticato troppo per ottenere un’ottima resa. Impressione confermata soprattutto per la prima parte del concerto, ossia in quella a prevalenza senza basso e che sfrutta come uniche corde quelle della chitarra ritmica di Eleanor e le sue stesse, a prima vista improbabili, corde vocali: un batterista perfettamente deciso, intermezzi di organo korg ironicamente copiati da chissà quale contesto e incollati fra, sotto e sopra il resto della minimale strumentazione, lo stesso per i rari assoli di chitarra ad opera del fratello polistrumentista. Il tutto fa pensare che l’abilità dei fratellini Friedberger stia in gran parte nel trasporre la loro fervida immaginazione in musica, facendo una vistosa economia di filtri sia nelle melodie che nei testi che, nei limiti della mia comprensione, sembrano avere intenzione di celare la loro logica solo alle orecchie dei loro creatori.
La non condizione di head-liner fa sì che i nostri Furnaces non suonino più di un’ora scarsa e, scaduto il tempo concesso, salutino in fretta e altrettanto velocemente sgombrino il palco per lasciarlo ai Veils.
Qualche pregiudizio anche qui, questa volta negativo e confermato. Ascoltate tre canzoni e mezzo, ognuna per una chance data (“ascoltiamo questa e poi andiamo, ascoltiamo questa e poi andiamo…”) seguiamo l’istinto e ci lasciamo alle spalle una voce da cornacchia eunuca su una base che non salva il gruppo, canzoni banali e già sentite e una giacca molto brutta. Per fortuna i supporter hanno valso la pena del biglietto.
Ambra Galassi