Xiu Xiu, Chevreuil, The Death Of Anna Karina, Chris Brokaw..
I Velma sono un trio svizzero (di Losanna), formatosi nel 1996: Cristophe Jacquet (voce), Christian Garcia (chitarra ed electronics) e Stéphane Secchione (batteria). Acclamati dalla critica come una delle migliori realtà musicali in fatto di contaminazione tra sonorità elettroniche e acustico-elettriche. “Quella dei Velma è una musica che si avvale, sì, di loops, sampling, certosine rielaborazioni in studio, sottili stratificazioni di noise e drones, riverberi e saturazioni gestite come polpa malleabile e manipolabile, ma dentro un corpo sonoro di ‘rock’ sfilacciato e ormai considerato impossibile…” (Blow Up Marzo 2002)
NED Lyon, Francia. SK Records
HONEY FOR PETZI Lousanne, Svizzera
CHEVREUIL Nantes, Francia. OTTONEKER / RuminanCe Records
THE DEATH OF ANNA KARINA Italia, Heroine Records
NEW BLACK + Guest. Chicago USA Thick Records
A seguire dj set di EML from Planet Screamadelica + Andrea Ferrara e Altri (elecro post punk new wave)
DOMENICA 4 APRILE ORE 18.00
last minute > si aggiungono i WINTER BEACH DISCO da Viterbo > purtroppo pare che i To THE ANSAPHONE si siano davvero sciolti !!!
LAURA VEIRS Seattle, USA, BELLUNION Records
NEPTUNE USA
CHRIS BROKAW USA
ULAN BATOR Italia / Francia
april 2 Roma (It) @ Init + Honey For Petzi
april 3 Pescara (It)@ Indie Rocket Festival + Honey For Petzi w/ New Black + The Death of Anna Karina + Ned
april 5 Faenza (It) @ Clandestino (solo Chevreuil)
Gli STORMANDSTRESS incontrano i DON CABALLERO e gli AC/DC. Attivi dal 1998 sono un duo chitarra e batteria, proveninente da Nantes, Francia. Chiaramente influenzati dall’ultimo album degli Storm And Stress poropongono pezzi strumentali corredati da una chitarra su 4 amplificatori, batteria al centro e publico dentro e intorno lo “stage”. Steve Albini registra all’Electrical Audio di Chicago il loro LP “Chataeuvallon”. Per avere un’ idea più chiara dello stile degli Chevreul, immaginate un concerto di un gruppo ibrido formato da Shellac e Storm and Stress, con un tocco di Don Cabballero e le potenza degli AC/DC. Dopo il loro primo album “Ghetto Blaster” masterizzato da Fabrice Loreau (Yann Tiersen, Prohibition), moltissimi i responsi positivi già ricevuti da stampa e pubblico che li ha visti per ben due volte in Italia a fine Marzo e Luglio 2003. Ascoltando la band dal vivo si ha l’opportunità di notare che le caratteristiche ed il valore del gruppo non vengono affatto penalizzati, e che, anzi, tutte le loro qualità scintillano enfatizzate dal palco. Hanno accompagnato dal vivo Us Maple, Laddio Bolocko, Strom & Stress (Touch & Go), Lumen, la Guinguette Pirate, L’Altra, Bobby Conn (Thrill Jockey), King Q4, Ratiopharm, Rogojine, Oxes (Monitor), Gordz, Goddar, Guapo, The Plan, North Of America.
CHEVREUIL FOR PETZI vs HONEY FOR CHEVREUIL split 7″
I LLLQ sono una band tedesca, innanzitutto. I LLLQ sono anche una di quelle band che un giorno chissà come, pura casualità, le vai a vedere dal vivo a scatola chiusa. O meglio, a ruota di un flyer assai singolare che li aveva definiti come “DavidLynch soundalike”. Che uno pensa, “ma come fa un disco a suonare come un regista?”: sarebbe quantomeno il più bizzarro fenomeno sinestetico pensabile. Soprattutto, mi ricordo di aver rimuginato “dopo Amore Del Tropico voglio proprio vedere come si organizzano questi qui…”.[ … ] Sicchè d’ improvviso questi LLLQ, questi crucchi, hanno iniziato a suonare. Il set lo ricordo come molto particolare: tantissimi strumenti, chitarra contrabbasso percussioni sintetizzatore molto altro; vocalist con il microfono illuminato, primissimo dei richiami agli intenti del già citato flyer (non so se il lettore ricorda la scena di Blue Velvet in cui Dean Stockwell canta in una lampada…); tempistica morbosamente dilatata, infinitamente dilatata, liquida. Manco a farlo apposta. Ed io lì, perso nella musica sin dalla prima nota, a speculare su ciò che stavo ascoltando. Tant’è che pochi giorni dopo sono riuscito a procurarmi tutta la discografia del gruppo in questione e l’ ho passata in rassegna tre volte. Se mi chiedete “perchè tre?” io ovviamente non so rispondere. Così. Uno mica deve avere sempre tutti i perchè, nella vita. Ho comunque appurato che l’ album migliore (la band ha alle spalle tre full lenght, qualche singolo ed il dieci pollici del quale si pretende di parlare qui) è quello “rosso”, il self titled. Del quale però non vale la pena narrarvi, poichè l’ ultimo lavoro in studio è “Was the pleasure…”, (e noi qui si tenta nei limiti del possibile di occuparci solo di roba nuova), che è anche la cosa più “sperimentale” creata dalla band durante la sua carriera, sebbene tutti i tratti distintivi essenziali delle precedenti produzioni siano anche qui sotto perfetta luce. I LLLQ sono grossomodo un gruppo ossessivo e nella musica e nel pensiero. Le loro storie sono noir, omicidi, amori malati, apparato concettuale vagamente deviante, “surrealismo americano” (ancora Blue Velvet). Dico questo nella piena coscienza di quanto sia forzato aggettivare con “americana” la proposta sonora di una band crucca, e dunque più europea tra le europee; e me ne frego anche, se vogliamo fare i pignoli, poichè è semplicemente così che stanno le cose. Nella musica dei LLLQ trovano il loro posto tutte le idee che sono state, prima di chiunque, di Angelo Badalamenti, una per una capillarmente, muovendo dalle chitarre surf per giungere agli slow fumosi di cui presumo tutti sappiamo, sempre all’ interno del grande disegno di straniamento sensoriale (di cui presumo tutti sappiamo) che è poi quello che ci si dovrebbe sentire in grado di definire come “abituale” con riguardo al grande compositore. Badalamenti, non i crucchi. Il nuovo diecipollici dei LLLQ è dunque più che altro tutto questo, anche se in una forma che ambisce ad essere new edition se così si può dire, e che mantiene fermi i presupposti e vi fa ruotare attorno songwriting e paranoie del caso. Bisogna aggiungere che quando, come si assume, contano più le suggestioni della musica di per sè – che qui non è il messaggio pur essendo il medium – al voler ottenere il clima desiderato cooperano partiture assai differenti tra loro, che arrivano ad avere in comune la lentezza e poco altro quando non si voglia usare come unico termine coagulante quello di “atmosfera”; che appunto è sempre la stessa. “Was the pleasure…” propone infatti anarchicamente e con eccessivo coraggio un piatto assai misto: blues, surf, ballate, nenie, qualche volta addirittura psychobilly… lo psychobilly di un quarantacinque giri fatto girare a trentatrè, per essere precisi. Se mi si dovesse chiedere cosa penso del risultato finale, non esiterei a sottolineare in prima battuta come la band riesca a perseguire esattamente quello che vuole, di traccia in traccia sistematicamente. Ma sul valore musicale, o anche sull’ innovatività del lavoro (che poi sono molto spesso due facce della stessa medaglia), conservo ancora – a buon diritto – qualche piccola riserva. Credo che la cosa più ovvia da fare sia indicare i LLLQ a chiunque cerchi musica ambientale che funga da adeguato sottofondo alle proprie inquietudini; al contrario, tutti coloro che antepongono la lucidità critica alla paradigmatica figura del nano che balla dinanzi ad un fondale di tende rosse, preferiranno senz’ altro dirigersi altrove. (STEWEY’S STAR #4 – Giordano Simoncini)
(David Lynch like sounds with rockabilly, blues) “The Liquid Laughter Lounge Quartet plays cocktail music, a bitter-sweet liquid concoction that sticks in your throat leaving an aftertaste that is somewhere between pretty and pretty ugly. These four gentlemen of Freiburg borrow, alienate and counterfeit country and western, Rockabilly, an immense blues rendered with austere arrangements and an emotive and often hysterical voice. Anyone who finds themselves thinking about David Lynch films has hit the nail squarely on the head. With upright bass, drums. guitar a voice and a suitcase stuffed with sounds, Liquid Laughter Lounge Quartet are just as much a part of the furniture as the dilapidated sofa in the corner at The Heartbreak Hotel. And, the music matches the decor: pretty but also quick to unsettle and in places somewhat divergent and diffused, its contours washed smooth in deep swathes of red and blue. Ghosts whisper to rockabilly skeletons; this sotto voce country and western accompanied by a besotted Brian Ferryesque refrain. The far-flung and two-left-footed tango receives a jolt and a wry blues shuffle is danced until the glasses become stuck to the tabletops. The ice has long melted and the drink now tastes more bitter than sweet- just like the memories. Lyrics about angels, drugs, strange neighbours, forgetting and disappearance are morbid yet tender. The songs often hang in the air in much the same way a photograph from better days hangs on the wall.”