(Autoprodotto 2003)
L’elettronica degli anni 50 creava mondi sonori. L’intento di Milani è quello di creare un suono-macchina che parta dalle esperienze di quegli anni e sia contaminato in qualche modo dall’esperienza cyberpunk futurista (per quegli anni ma non solo) dell’industrializzazione/meccanizzazione del nostro essere. L’uomo non può (non poteva?) più prescindere dalla macchina e quindi in questo senso il musicista non può più prescindere dalla tecnologia.
Il cd è una suite di quattro lunghi brani, che durano circa una decina di minuti l’uno. Il primo (Duplicati meccanici e menti artificiali) ha una struttura ritmata da una pulsazione di ‘basso’ che accompagna e unisce le varie sonorità ‘concrete’; ci fa entrare gradatamente attraverso suoni campionati e l’uso quasi pedante del basso in un’atmosfera quasi stalkeriana che in qualche modo semionirico accosta il peso della macchina alla leggerezza dell’immagine/suono che in un istante passa e muore. L’elettronica e il campionamento o riuso/loop di suoni/segni sonori lottano quasi con il pulsare nascosto del basso che torna per riconfermarsi come descrizione di irreversibilità temporale (fine e/o morte dell’uomo senza macchina?).
Il secondo frammento (TV, dune e i contorni della tua faccia) inizia sempre con una pulsazione di basse frequenze ma viene interrotto bruscamente da voci, urla e quindi presenza (televisiva? irreale?) dell’umano. La voce viene usata per creare una base sulla quale vivono elementi quasi ambient, nel senso che i suoni popolano il mondo umano. Qui si sente insomma il bisogno di raffrontare i due mondi (entrambi irreali (TV/media e musica)?) e di farli quindi dialogare, anche se è sempre presente uno strumento che batte l’irreversibilità (o la circolarità?). In qualche punto si sente l’eco del lavoro di Scanner (vedi ad es. Publicphono (2000) o la collaborazione con Kascone The Crystalline Address (2002)).
Il terzo frammento (Screening di massa) è un pezzo che richiama alle sonorità ‘spaziali’ dei film di fantascienza anni 50-60. Si sentono impulsi e sembra quasi di vedere mondi e pianeti nuovi al di fuori del vetro della navicella. Ad un certo punto la quiete viene interrotta da una battaglia sonora, rumore bianco si intreccia a sovrapposizioni che introducono a una destabilizzazione (in certi punti anche con ritmiche e suoni/pattern quasi techno!) dell’ordine planetare che era stato definito precedentemente. Mi piace pensare a questa intrusione nell’electro space rock jazz come una possibile risposta al genio di Sun Ra con qualche richiamo anche ai Tangerine Dream meno pop.
L’ultimo frammento (Impulsi di una città già morta) è il più diretto, costruito con un architettura più solida. Sembra di sentire un disco degli O.R.B. (ovviamente filtrato con suoni più sintetici (nel senso più anni 50)), una vera costruzione di una città che non sembra poi così morta. Meglio morente o soccombente sotto macerie di scintille generate da macchine fagocitanti gli ultimi suoni di piano (ritorno della tradizione?).
Per contatti: Via Roma 119, Vercurago (Lc), milani.tiziano@libero.it
Voto: 8
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