Broken Social Scene ‘You Forgot It in People’

(Arts & Crafts/Audioglobe 2004)

Con un paio di anni DI RITARDO rispetto all’edizione d’oltreatlantico giunge nei nostri lettori il secondo album (il primo “Feel Good Lost” è stato comunque recentemente ristampato dalla Arts & Crafts) di uno dei progetti più intriganti dell’indie-rock contemporaneo. L’instabile collettivo di Toronto, che annovera tra le sue file un nucleo di base composto da Kevin Drew, e Charles Spearin dei Do Make Say Think più Brendan Canning, Andrew Whiteman, Justin Peroff (Stars) più un numero indefinito di membri più o meno occasionali, è portavoce di una proposta musicale altrettanto plasmatica e inarrestabile quanto a delimitazioni di genere e di atmosfere. Ipnosi statica stile Godspeed You Blak Emperor! (Capture the Flag e Pitter Patter Goes My Heart), Lo-fi simil Pavement, post wave alla Fall, saliscendi vocali tra Muse e Dinosaur Jr (Almost Crimes), instrumental pop di stampo britannico tra Smiths e Cure (Pacific Theme), soft-tronic alla Migu giusto per non tirar fuori sempre l’onnipresente marchio Morr (vedi Anthems for a Seventeen Year-Old Girl), dilatazioni in real-time tra Yo La Tengo e Gastr Del Sol (Late Nineties Bedroom Rock for the Missionaries) e perfino spiazzante shoegazing tra Slowdive e U2 (!?!) (Lover’s Spit). Tutto questo e altro ancora tra gli ingredienti uditivi della prelibata ricetta del pasticcio rock canadese in questione.
Anche presi singolarmente comunque, non uno dei brani vi deluderà quanto a energia creativa e agilità di spostamento tra vibrante attualità e passatismo consapevole e ricercato. Senza considerare che il tratto davvero impressionante è come la coesione di fondo sia in definitiva costituita proprio dalle mille sfaccettature di un’attitudine volta alla sperimentazione (per lo più analogica) su strutture rock che, viste in questa luce, forse appunto tradizionali forse non sono state mai. I Broken Social Scene rappresentano insomma un gran bel bagno rigenerante per quella parola ormai un po’ stantia chiamata post-rock. O, se volete, un’inedita versione di quella parola di cui non ci siamo ancora stancati e che continuiamo imperterriti a imbellettare con mille prefissi.
Vi lascio con un’ultima raccomandazione: sempre nella scuderia Arts & Crafts tenete d’occhio anche i bellissimi Valley of the Giants (in cui compaiono anche i sopramenzionati Canning e Spearin), visionario progetto di western music straniante e desolata. Due gioielli.

Voto: 8

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