(Ctrlaltcanc Records 2004)
Torna a farsi sentire Adriano Zanni in arte Punck con un dischetto breve breve
quanto affascinante, formula volendo anche antica quella espressa da queste parti
eppure carica di suggestioni e forza comunicativa invero notevole che ben fanno
sperare per l’imminente uscita sulla lunga distanza programmata fra breve.
Le caratteristiche tipiche del suono di Punck ci sono sempre tutte, largo quindi
a field recordings spettrali e samples di voci men che mai al di
sotto dell’inquietante e poi il solito superbo e gelido lavoro di cesello al laptop;
ma sembra chiara la volontà dell’autore di allargare il suo spettro sonoro
verso lidi dove una flebile luce (speranza?) ad intermittenza ogni tanto rischiara
l’ambiente. Le eruzioni elettrostatiche e gli echi glaciali sembrano aprirsi in
parte a soluzioni melodiche prossime a certa dark–ambient meno scontata;
Lustmord perso fra le brumose albe del ravennate o lo spettro comatoso
di Adi Newton a passeggio placido fra i boschi?
Chiacchiere sterili però, Punck in venti minuti mette in riga in maniera
omogenea ed assolutamente matura un’operina che potrebbe rivelarsi punto e snodo
imprescindibile nella sua sterminata produzione sotto ogni tipo di supporto.
Vien voglia di assegnargli quasi la fascia di novello Seth Nehil dei nostri
pizzi se non fosse che il signor Punck tratta la materia con uno stile
critico ed incline alla riflessione sociale (come le voci saettanti che fanno
capolino ci confermano) che il più famoso musicista americano si sogna.
Lavoro che si cimenta nelle zone impervie a cavallo con il sogno, pochi prati
però e molte zone industriali vuote ed abbandonate; verso il sesto minuto
una figura umanoide sembra comparire all’orizzonte ma dura poco. Un miraggio rassicurante
creato dalla nostra anima impaurita?
Vale quello precedentemente detto per Roberto Fega; un sogno sognato da
un sogno.
Ma occhio alle spine…
Voto: 8
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