(Accretions/Circumvention Music 2004)
‘Rubble 1’ sarebbe opera da inserire sotto la denominazione compilation
ma trattandosi di esposizione comune da parte di membri e gruppi accomunati sotto
la bandiera del Trummerflora Collective ho preferito dare maggior risalto
al nome comune piuttosto che alla svilente (in certe occasioni) sigla AAVV.
Il collettivo americano in questione si nutre di libertà espressiva
travalicando i generi come se fossero semplici bandieruole (ed in parte
lo sono) applicate di volta in volta a stimolare l’acquisto. Libertà quindi,
generi ed espressioni fra le più disparate.
L’iniziale brano di Damon Holzborn ottima tracimazione di field recordings
e varie elettronicherie (consigliato il suo ‘Adam E Bancroft’
su Accretions) trova parallelismi inquietanti nel successivo hip-hop
astratto ad opera di Perfektoman (il bassista Joscha Oetz) dove
fra sinuose onde simil jazz e dilettevoli performance vocali spoken
si scorge un paesaggio notturno degno di certi attimi di Jarmusch; e siamo
soltanto all’inizio di questo lungo peregrinare.
Hans Fjellestad in versione live batte il dente su un’improvvisazione
a base di bagpipe, organo da chiesa, percussioni e suoni tratti dal basket che
sinceramente si trova a metà strada esatta fra il sublime ed il ridicolo;
optiamo in questo caso per il sublime. Consigliato il suo ‘Red Sauce Baby’
sempre su Accretions del 2000.
Nathan Hubbard con la sua presenza divaga fra ombre Feldman immobili
e meditative per aprire poi il fianco a intromissioni malinconiche da parte della
Skeleton Key Orchestra; toccante e ricercato.
Marcelo Radulovich si accompagna con la cantante giapponese Haco
sotto la sigla Restlight, sofisticata e leggiadra esperienza sonora
in odor di catalogo Cold Blue che viene aggredita da ironiche scariche
non sense particolarmente efficaci.
Quibble è creatura impro elettronica che mastica frammenti
di vetro, Robert M veleggia fra territori in odor Cabaret Voltaire
e poi a seguire Cosmologic.
Uno dei più sottovalutati gruppi avant jazz (procuratevi il loro
‘Syntaxis’), caldi ed umorali; assolutamente godibili e padroni di una
propensione verso il ritmo a dir poco unica.
All’appello mancano ancora quattro cosine…..
Weller/Fernandes/Scholl che rendono ottimamente la loro esplorazione
acustica in una giostrina storta di fiati volatili, chitarrine atonali
e percussioni aggraziate e prossime al riso. Tutto all’insegna comunque di una
certa ombrosità da post sbornia.
Titicacaman piazza forse il botto più divertente del cd, culture
pop masticate e risputate in faccia all’ascoltatore in piena fregola plunderphonica
e poi eccessi vocali, bassi coinvolgenti ed una battuta che quegli stronzetti
‘mbriaconi dei Prodigy dovrebbero sentire per capire cosa vuol dire
esser veramente out.
Talmente schifoso da risultare sublime, per lavorar con il ciarpame ci vuol classe;
Pop Will Eat Itself mancanti di birra?
Donkey bada ad aggredire con materiali percussivi massacrati e resi materia
prima per antichi mangiatori di semi industrial ed a chiudere Wormhole,
strutture aperte in odor di Java con capocciata sicura sul verbo Harry
Partch e voci e vocine che s’insinuano in ogni dove per creare una vera e
propria meraviglia sonica.
Settembre promette bene….
Voto: 8
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