(Carbon 7 Records 2003)
Diciamolo subito: il primo impatto non è dei migliori. Alcune dichiarazioni del musicista sull’uso della musica quale strumento per interagire con il reale e rappresentare le esistenze nascoste e inconsce che nascono dalla percezione personale delle cose, una certa pedanteria nel voler spiegare i processi creativi/spirituali che originano le composizioni; unito all’utilizzo di grafica d’impronta new age (sul sito dell’autore), lasciano subito immaginare un polpettone pretenzioso ed inascoltabile. In realtà sgomberato il campo da questi pregiudizi e superato lo scoglio del primo ascolto l’opera si rivela abbastanza godibile. Multistrumentista, ma prevalentemente batterista, con un vasto curriculum di musiche per documentari e balletti, il francese Franck Balestracci è qui alla sua seconda opera discografica. Realizzato in perfetta solitudine combinando suoni reali e sintetici (senza ricorrere a programmazione ma suonando tutto in tempo reale), ‘Existences Invisibles’ è un disco in cui si mescolano musiche progressive, fusion e classica contemporanea con vaghi echi di Tangerine Dream, Vangelis, Kitaro (!), e certa attitudine concettuale alla Robert Fripp degli esperimenti ambient. Suoni senza una precisa collocazione temporale, vecchi e nuovi al tempo stesso, di certo non di tendenza. Musiche fortemente cinematiche, e del resto Balestracci rivela nel regista Wim Wenders e nel suo film “Le ali del desiderio”, una delle sue grande influenze, che disegnano veri e propri labirinti sonori in continua mutazione; assemblati con cura pignola e tecnica notevole. Sicuramente qui la semplicità non ha dimora, data la notevole complessità e stratificazione delle composizioni, che però riescono a mantenere viva la soglia dell’attenzione ed evitare la trappola del tecnicismo fine a se stesso, grazie a dinamiche che sanno essere drammaticamente evocative ed imprevedibili nel loro svolgersi. Tratti distintivi e costanti nel susseguirsi dei brani, l’andamento molto marcato della sezione ritmica e l’uso di samples di voci umane rubate alla quotidianità e opportunamente trasfigurate, che si infiltrano ovunque. Difficile segnalare dei brani in particolare, stilisticamente fortemente legati tra di loro, al punto da disegnare un unico contiuum sonoro. Preferenze personali comunque per l’iniziale Screenplay Of A Movie con il suo lento planare su note di piano e ombre di voci, dopo una prima parte nervosa e sincopata, e per per la corsa paranoide di Chaos Antérieur, introdotta da un saliscendi di folate di rumore ambientale. Ottima anche l’incalzante Le Dans De Sons dove l’utilizzo di campionamenti ed effetti elettronici risulta molto efficace nell’accompagnare il frenetico dialogare tra tastiere e sezione ritmica. Opera quindi personale e a suo modo sperimentale, peccato che alla lunga l’eccessivo carattere cervellotico e un occasionale calcare la mano negli aspetti sinfonici possono stancare e/o infastidire.
Voto: 6
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