(Carbon 7 2004)
Attivi dal 2002, i belgi Attica, nome ispirato dall’album ‘Attica Blues’ del sassofonista Archie Shepp, sono qui al loro esordio con l’intento dichiarato di proporre canzoni “con cui danzare, cantare e relazionarsi”. Ottimo proposito, semplice ma tutt’altro che semplicistico e sicuramente apprezzato da parte mia; nonostante la materia qui in esame non sia esattamente “my cup of tea”. Canzoni che con gli Attica assumono le sembianze di un rock/pop/blues romantico e notturno, con testi che com’è facile immaginare trattano perlopiù d’amori sofferti e sofferenti. Certo, nulla che non sia già sentito, con lo spirito di Jeff Buckley costantemente evocato dai saliscendi emotivi del cantato di Amaury Massion e l’alternarsi di muscolarità epica alla Pearl Jam a momenti di rarefazione pop stile Radiohead. Intelligentemente però il tutto è filtrato con uno spirito jazzato e arty, fondamentale in tal senso il lavoro puntuale dei chitarristi e gli occasionali malinconici inserti di tromba, che veste di personalità l’insieme e fa ben funzionare buona parte del disco: quindi molte le canzoni d’impatto ma anche qualche inevitabile caduta di tono. Le cose migliori si trovano nel quartetto iniziale aperto dalla voluttuosa Wake Up, il cui refrain (“so come on now awake me darling shake me now commit the perfect crime”) lentamente ma inesorabilmente finisce per colpire nel punto giusto, e chiuso dal potenziale hit Urban Fields, il brano più propriamente pop della raccolta. In mezzo i bei crescendi per chitarre e fiati (qui allargati alla presenza di diversi collaboratori esterni) di Sweet Rain e la marcia di Sober Blues, notevole nel suo pulsare su raffinati ricami chitarristici e calde lacrime di tromba; ed è un peccato che sia indebolita da quegli inutili minuti in cui il gruppo si mette, forzatamente in questo contesto, a giocare con la sperimentazione. Da qui in poi emerge qualche punto debole per cui vanno bene la psichedelia in rotta di collisione di Telefascination, le esplosioni rock di Black & White, e la finale Alles Wandelt Sich, per buona parte quasi una danza da cabaret Waitsiano, mentre pezzi quali Love Is Real, Perfect Bubble, Funny Time non convincono (ancora) del tutto, penalizzati da melodie leggermente inceppate e da qualche lungaggine di troppo. Senza infamia né lode la cover di Riverman di Nick Drake. Una volta oleato meglio il meccanismo compositivo, sicuramente un gruppo dal potenziale, anche commerciale, non trascurabile. Chissà, potremmo anche risentirne parlare.
Voto: 7
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