Bologna 04/09/04: Polenta A Scrocco e Rock’ N’ Roll.
Di Benjo
L’Arena Parco Nord è rovente come nel Flippaut 2003. A distanza di un anno e tre mesi circa, rivedrò sullo stesso palco Mark Lanegan e Nick Olivieri… forse. Già, perché, mentre entro e vedo on stage un ragazzino stile “Calling” ragliare una lagna mielosa al microfono per il sound check, mi chiedo come funzionerà il discorso Mondo Generator, perché in realtà non c’ho capito un granché!
Si diceva che Nick Olivieri fosse stato cacciato dalla band dopo che, in Germania, aveva spaccato il naso ad un tecnico del suono, o qualcosa del genere, ma come fai ad essere cacciato da una band che è tua? Oltretutto sul cd c’è solo la tua faccia! Considerando che nelle date successive Brant Bjork s’è presentato senza il carismatico front man, ad un mese di distanza dallo scioglimento, chiccacchio viene a suonare sotto il nome di Mondo Generator? Mentre mi pongo l’enigma, il ragazzino di prima tutto teen-age-rock-trend presenta la band: i Color of Five, che sono meglio di quel che potevano apparire. Intanto faccio un po’ lo stronzo e diffondo la notizia dell’assenza dei Deus e dei Keane, gustandomi l’espressione delusa e incazzata dei fan venuti al festival apposta per loro… in realtà, apposta per i Deus, perché per i Keane non ho visto facce particolarmente affrante, e la loro mancanza, è solo una rottura in meno da sopportare.
Poi penso che se qualcuno fosse venuto da me a dirmi che Mark Lanegan non avrebbe suonato più, dopo aver speso trenta euro solo per lui, lo avrei fatto pentire di essere messaggero di tale sciagura, fregandomene della storia dell’ambasciator che non porta pena. Decido, quindi, di farla finita e di salvaguardare la mia incolumità… non si sa mai, che uno più stronzo di te lo trovi sempre!
I Color of Five sono piacevoli, il tipo di band che durante i festival ne approfitti per farti gli affari tuoi, andare in giro, conservare le energie e immagazzinare liquidi in previsione di momenti più salienti.
Secondo la scaletta i Tre Allegri Ragazzi Morti suonano prima dei Mondo Generator, quindi mi ricavo uno spazio proprio sotto il palco e quando il cantante-chitarrista della band italiana chiede: << Quanti di voi sono venuti qui, oggi, per i Tre Allegri Ragazzi Morti? >> io non me la sento di mentire e non alzo la mano. Sono lì davanti solo per assicurarmi il posto per il gruppo successivo.
Il mio dilemma iniziale viene presto risolto: in fondo al palco, ecco Nick Olivieri senza maglietta come al solito, tutto impegnato a sistemare ed accordare gli strumenti. E’ tranquillo, sorride rilassato e risponde a me che gli faccio le corna rock and roll e a tutti gli altri suoi fan che invece di ascoltare i T.A.R.M. stanno lì per lui. Risponde quel tanto per farci contenti, poi, forse per non interferire con la performance del gruppo italiano o semplicemente perché ha da fare, ritorna a concentrarsi sugli strumenti. I Tre Allegri Ragazzi Morti mettono gas al festival e fan o no di più o meno ragazzini imbastiscono un cerchio del pogo sostanzioso, che si diverte e alza un bel polverone.
L’attesa per i Mondo Generator è un po’ più lunga del previsto, per piccoli inconvenienti tecnici. Quando la band si presenta sul palco si svela l’arcano: Dave Catching, Brant Bjork e Molly McGuire sono stati sostituiti da due musicisti sconosciuti ai più. Ma l’ovazione è tutta per Nick Olivieri che, ormai come un’icona rock, basta che ci sia. Il chitarrista è un cinquantenne rosso e gonfio, con una gonna estiva a fiori, il batterista scaraventa via non so che cosa e mentre si piazza sullo sgabello, già attacca a picchiare giù cattivo. Il nuovo trio, ancora in rodaggio, spinge, trascinato da un Olivieri che sputa pure l’anima, mentre inveisce, urla, mangia-canta al microfono. Un altro microfono tra lui e il chitarrista alla sua sinistra fa dedurre che ci sarà un ospite. Su un lato, in fondo al palco c’è Mark Lanegan che assiste alla performance, beve acqua e si accende una sigaretta prima del suo turno. Intanto Nick ci riserva una chicca con “Gonna Leave You” dei Queens of the Stone Age, che i più maliziosi leggono come una provocazione. Quindi con Mark, la riunita coppia di amici si esibisce in “Four Corners” dei M.G., quindi ci regalano una versione di “Autopilot” ancora dei Q.O.T.S.A. con Nick alla chitarra acustica. I fan sono in estasi e anche se l’assenza di Josh Homme si vede e si sente, chi se ne frega! All’uscita di Mark Lanegan, i Mondo Generator spingono ancora e Nick sembra proprio voler dare tutto per non deludere i propri fan italiani, forse per farsi perdonare la sola che ha tirato a fine luglio alla data di Cervia, e sigillare una performance energica. Durante il concerto regala le maglie del tour 2003 con gli ex componenti stampati sul davanti: che non voglia dire qualcosa? Alla fine dello show sembra proprio soddisfatto e sorride lasciando credere che abbia voluto scherzare su certi rancori, ma non si riesce a non essere maliziosi.
I fan di Mark Lanegan non sono pochi e la performance con i Mondo Generator ne ha gasati molti, ma ora tocca solo a lui e alla sua band con cui si fa avanti sul palco. Capello corto e tinto di nero, sigaretta tra le dita (stranamente la prima di due in tutto il concerto!) si aggancia saldo all’asta del microfono, nella posizione di sempre. Brett Netson informa tutti i presenti: << Siamo la Mark Lanegan Band! >> e attaccano a suonare la nuovissima “Hit the city” dall’album appena uscito Bubblegum, in cui la canzone è incisa in coppia con P.J.Harvey. Dal vivo, le veci di Polly Jean, sono prese da Shelley Brown, una tipa tutta tatuata e non poco atteggiata che sia nella voce che nell’aspetto non è malaccio per niente! Le versioni delle canzoni, anche dei precedenti album, sono intense, anche se non molto adatte ad un festival, tranne che per un paio di eccezioni più movimentate, come l’ultimo singolo “Sideways In Reverse”, più rock and roll. “Resurrection Song” e “I’ll Take Care Of You” sono comunque coinvolgenti, riuscendo a creare un atmosfera quasi alla David Lynch, in versioni da togliere il fiato. L’urlo all’inizio di “Little Willie John” spacca l’aria calda e polverosa, precisa per la canzone stile vecchia ballata blues.
Su un lato del palco riecco Nick Olivieri che muove a tempo la testa, applaude e canta, proprio come un fan e raggiunge la band sul palco ricambiando il favore, unendosi per una versione energica e rumorosa di “Methanphetamine Blues” che chiude il concerto, prima di quanto anche i musicisti stessi credessero. Sembra che stiano per rientrare per il bis, ma dopo qualche titubanza, l’organizzazione decide che non c’è più tempo: è l’ora del gruppo del momento con la “The”: “The Libertines”.
Il gruppo inglese lo sento solo in sottofondo, per il mancato interesse che mi suscita, quindi ne approfitto per andarmi a cercare uno stand fuori dall’arena dove poter mangiare qualcosa senza fare troppa fila. Ma è ormai sabato sera e la “Festa dell’Unità” è piena di persone e alla faccia dell’unità, riesco a trovare solo una piadina alla modica cifra di euro 4,50! L’unica parentesi positiva è che ho sgamato uno stand che regala polenta precotta, 1,2 Kg, così ne arraffo una confezione e me ne torno al concerto nella speranza che The Libertines abbiano terminato. Sono curioso di sentire i Franz Ferdinand, sperando che non sia solo l’ennesimo gruppo con un buon album, ma incapace di suonare dal vivo, come gli Yeah, Yeah, Yeah, o The Kills o altri gruppi con l’articolo determinativo davanti, pompati dalle case discografiche!
Il dubbio rimane ancora quando sullo sfondo compare un telone enorme con la scritta del gruppo, che sembra proprio un investimento pubblicitario, ma quando il gruppo comincia a suonare, rimango piacevolmente colpito. Il pubblico dell’arena sembra decuplicato, divertito e trascinato dall’energia dei Franz Ferdinand che suonano davvero bene e fanno ballare e saltare proprio tutti. Il cantante e chitarrista in camicia rossa è carismatico e gestisce benissimo il pubblico e il palco, in una esibizione che soddisfa e che non lascia dubbi sulle capacità del gruppo.
I Sonic Youth ci mettono un po’ a presentarsi. La folla davanti al palco è così fitta e pressata che non ci si riesce a muovere e di guadagnare qualche metro in avanti non se ne parla proprio. E finalmente ecco li: le urla di acclamazione e l’eccitazione del pubblico si fanno sentire. Sulle prime però, sembra che ci sia qualcosa che non va, è difficile capire se Thurston Moore sia già preso dai contorsionismi sonici o stia soltanto provando la chitarra sulla cassa spia. Il suono da qui non sembra dei migliori, un po’ ovattato. Moore cambia chitarra e i Sonic Youth cominciano il proprio concerto non al meglio, lasciandoci un po’ perplessi. Ma poi passa tutto quando attaccano “100%”, io alzo le braccia e salto su e giù entusiasta, mostrando ai Sonic Youth la mia confezione di polenta Valsugana e cantiamo tutti, manco fossimo ragazzine al concerto di Tiziano Ferro. Thurstone Moore si struscia la chitarra addosso, contro le casse e per terra, poi scende dal palco e la alza come una spada in mezzo al pubblico in prima fila. In contro luce il vestitino di Kim Gordon traspare lasciando vedere le forme ancora niente male! Sembra di vederli tali e quali a come erano dieci o quindici anni fa, da qui non sembrano cambiati per niente! La gente è talmente pressata che Kim Gordon chiede esplicitamente a tutti di fare un passo indietro per evitare di schiacciare quelli davanti, ma è impossibile e non possono far altro che continuare a suonare. Cerco di godermelo, ma solo in poche fasi mi sento realmente trasportato dai lunghi momenti di psico-distorsioni, le capacità ipnotiche del gruppo sembrano funzionare poco stasera! A mezzanotte in punto escono dal palco e in attesa del bis, i fan eccitati e non la smettono di dire quanto siano bravi e grandi. Come si dice che l’amore rende ciechi, mi viene da pensare che essere fan di una band, a volte rende anche sordi. La performance dei Sonic Youth non è stata grandiosa, ma per alcuni lo è solo perché loro sono i Sonic Youth.
Un vero fan non può essere obiettivo e quando lo diventa è forse il momento in cui fan non lo è più. E se ripenso alla performance di Mark Lanegan, non so dire se sia stata davvero una buona esibizione: sei lì sotto con le casse sparate, che per avere una buona acustica dovresti stare vicino al mixer, ma vuoi essere il più attaccato possibile al tuo mito per vederlo in faccia e farti vedere, le canzoni le canti tutte in duetto con lui, quindi non lo ascolti nemmeno realmente. Forse non è stata una delle sue migliori come, al contrario di quel che si legge sui giornali, non lo è l’ultimo album. Ma, che sia giusto o sbagliato, sono le emozioni quelle che contano e Mark potrebbe cantare anche l’elenco telefonico di Bologna che a me andrebbe bene lo stesso e magari la magia che ho sentito, l’ho vissuta solo io… proprio come i fans dei Sonic Youth.
Non li aspetto per il bis, anzi mi fiondo alla “Tenda Estragon” per riuscire a vedere almeno un pezzetto del concerto di Everlast, che quei furbacchioni degli organizzatori hanno messo in contemporanea con i Sonic Youth. La corsa è vana e quando arrivo stanno già montando gli strumenti per il gruppo successivo. Deluso mi avvicino al palco e riconosco Ed Nappi, il bassista della Mark Lanegan Band, lo saluto e gli faccio firmare la scaletta poggiandola sulla confezione della mia polenta. Nonostante l’aspetto poco raccomandabile, è gentilissimo. Gli chiedo se ha visto il concerto di Everlast e lui mi dice di averne visto una parte, peccato che nel locale non ci fosse nessuno, poi mi consiglia di rimanere per l’esibizione dei Radio 4, il gruppo di suo nipote. Accetto il consiglio e mi godo l’ultimo concerto della serata, un punk-pop di New York, tirato e divertente, arricchito di percussioni e campionatori, e leggendo le istruzioni sulla confezione della polenta, penso a quante possibilità ci siano, che domani possa essere ancora commestibile.