(Fatal Recordings / Wide 2004)
I Kunst (Virginie Burnier, Vincent Kohler, Stephane Kropf e Rachel Vulliens) sono l’ultima, stupenda scoperta della giovane etichetta berlinese Fatal Recordings (dopo Hanin Elias e Tara Delong), vengono dalla Svizzera, da Losanna, e ci propongono una miscela mooolto eterogenea a base di No-Wave, Noise alla massima potenza, Electro, Industrial, Punk / Art – Rock e un bel pizzico di femminismo di stampo Riot Grrrl… insomma, ce n’è a palate.
Si comincia dai piani bassi con Overture, ricca di suoni cupi e ossessivi sopra i quali la conturbante Virginie ci svela, in un’ ipnosi malata, di essere una “macchina del sesso”, e presto ne avremo la conferma… passano meno di due minuti e i Kunst mettono subito la quinta, una furia punk degna di Kathleen Hanna e delle sue Bikini Kill.
Ma è dalla successiva Croatia 2000 che il discorso comincia a farsi davvero interessante: ritmi estremamente frastagliati e nervosi fanno strada a schitarrate ruvide e perennemente sudicie, un incrocio tra Sonic Youth e The Kills, e la focosa frontwoman che fa la bambina viziosa (svolta verso Le Tigre), sviaggiando tra l’inglese e un delizioso, morbido francese, in stridente contrasto con le sonorità del pezzo.
Sulla stessa falsariga, ancora meglio se possibile, la seguente Kinski Licky, con le chitarre che per di più cominciano a bere pesante, e i risultati si sentono: sbandate nevrotiche controllate a stento, prima di raggiungere il caos totale, l’incendio e la catarsi finale: il brano migliore del disco.
E poi ci si aspetta chissà quale altra trovata noiseggiante e disturbante, ed ecco invece che parte Miss K (dedicata a Miss Kittin), filastrocca pseudo-pop dalle sonorità elettroniche (le chitarre si riposano un pò per farsi passare la sbornia) con un testo monofrase ripetuto in continuazione, ancora una volta versione capricci infantili prima dello sfogo nella parte conclusiva.
Un pò di relax quasi “salutare” nella successiva, breve Tip Toe Dance, che accelera però nel finale, come per introdurre un brano più tirato, ma ci spiazzano di nuovo, e non ci si capisce più niente, rumorismo puro, urla e lamenti, dei Killing Joke più minimali nella ipnotica Kursk.
Bella pesante Chinese In Space, piena zeppa di distorsione e con un incedere da vero schiacciasassi, prima che vengano a galla anche i Breeders nelle successive VDPLK e Obey Your Master, con le chitarre sempre in evidenza per le loro scelte originali e efficaci, specie nella seconda, più sbilenca e seducente.
Un tappeto ipnotico e bianco ricopre L. A., rilassata ma inquietante, con un testo che ricalca da vicino Rape Me dei Nirvana, e Metacompost, in cui però viene fatto presto a brandelli da una abbondante dose di rabbia e schizofrenia (fuck you Kunst!!!).
A seguire Unscrew Your Head, ancora noise / indie rock pieno di svisate chitarristiche ixiesiane in chiave industriale, Storytelling, puro e disturbante rumorismo con Virginie che si supera fingendo (finge?!) un orgasmo e ordinando con fare sadomasochistico “Fuck me hard nigger”, ai vertici del girl power, e per finire la ritmatissima e “ballabile” Blank Nation, con un esclamazione, “It’s the future sound” che ci dà la chiave di tutto, prima che il rumore fagociti il disco per riportarselo da dove era fuggito, lasciandoci spaesati e in balia di oscure frequenze ostili.
Insomma, chitarre sporche e focomeliche dappertutto, che si muovono incautamente in percorsi accidentati, frastagliati e finemente destrutturati, risultando altamente affascinanti per come arrivano a destinazione in ogni brano; ma soprattutto la ipnotica e provocante voce di Virginie, capace di sedurre, godere spudoratamente, belare, sputare, insultare, passanto da alti striduli traballanti a mormorii cupi da tossica incallita.
Rock come sinonimo di Arte (significato dello spigoloso “Kunst”, in tedesco), rock come dove essere fatto, oggi che siamo nel 2004, ormai.
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Voto: 10
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