Joy Division

I Joy Division E Ian Curtis, Poeta Del Post-Punk.

 

 

 

 

 

 

 

Di Alessandro Gentili

aleale82@yahoo.it

 

 

I Joy Division sono stati uno dei più importanti gruppi inglesi della fine degli anni Settanta, periodo di superamento dell’era propriamente Punk: volontà di stupire e scandalizzare, sia a livello visivo che da un punto di vista sonoro, nichilismo (l’etica del “No-Future”) e l’idea di musica realizzabile da chiunque, quasi senza l’ausilio di alcuna capacità tecnica; questi i suoi aspetti principali, ma già verso il ’78 – ’79 la spinta propulsiva di questa prima ondata sembra essersi esaurita, e gran parte dei gruppi si orientano verso nuove sonorità che strizzano l’occhio a volte all’ elettronica (e di qui la New Wave), altre a sonorità più dark, ed ecco qui quello che viene denominato (semplicisticamente, come in molti altri casi, quando si tratta di affibbiare un’etichetta che racchiuda spazi sonori assai più vasti e diversificati) Post – Punk.

Sarebbe riduttivo però fermarsi qui: i Joy Division hanno rappresentato e rappresentano ancora oggi uno dei gruppi più influenti sull’evoluzione musicale degli ultimi 25 anni: basti pensare agli shoegazers Jesus & Mary Chain e My Bloody Valentine, e ad altri come Jesus Lizard, Nine Inch Nails, o ancora oggi gli Interpol,… nonchè alle analogie tra le storie personali di Ian Curtis e Kurt Cobain, anche se questo è un altro discorso…

Il gruppo nasce a Manchester all’inizio del 1977, dall’unione di Bernard Sumner (chitarra), Peter Hook (basso) e Terry Mason (batteria), già uniti in un gruppo punk chiamato Stiff Kittens, con Ian Curtis (voce), 21enne infatuato di Iggy Pop, David Bowie e Lou Reed, conosciuto durante un concerto in città dei Sex Pistols: il nome iniziale del gruppo è Warsaw, mutuato dalla canzone Warszawa di Bowie: all’inizio le sonorità sono propriamente punk, con pezzi più vivaci e tirati quali l’omonima Warsaw, Leaders of men e No Love Lost, ma già dal nome, che evoca atmosfere cupe e tetre, si può leggere un indizio delle strade che il gruppo si troverà presto a percorrere.

Dopo diversi concerti tra Manchester e dintorni, le prime registrazioni in compilation descrittive della scena locale, e il cambio del batterista con l’arrivo di Steve Morris, Ian e soci hanno ormai una certa fama in zona, e vengono messi sotto contratto dalla Factory, una piccola label locale; il gruppo, siamo ormai al ’78, decide di cambiare nome in Joy Division, nome con il quale i soldati nazisti nei lager chiamavano il contingente di donne ebree utilizzate come prostitute personali: la scelta è sicuramente provocatoria e di cattivo gusto, ma rispecchia anche l’interesse di Ian Curtis (sempre dichiaratosi conservatore) per il mondo e l’iconografia nazista (già utilizzata per uno dei primi Ep del gruppo).

L’altra faccia della medaglia in questa crescita esponenziale della fama dei Joy Division è data dalla crescente instabilità di Ian Curtis: un carattere capace di sbalzi estremi dall’allegria alla depressione totale, un atteggiamento arrivista e pronto a tutto per raggiungere il successo, come se già sapesse di avere un posto riservato nell’ Olimpo del Rock, l’epilessia da poco cominciata che lo tormentava continuamente, e un impeto distruttivo sul palco, dove inscenava ad ogni concerto quella che agli occhi del pubblico e dei suoi compagni sembrava una recita macabra e gotica, ma che in realtà era semplicemente un modo di mostrare agli altri il proprio dramma e la propria sofferenza.

Intanto le sonorità del gruppo erano mutate, assumendo toni più bassi e ossessivi, sovrastati dai testi oscuri e enigmatici di Ian, cantati con una voce glaciale da oltretomba: sono questi gli aspetti fondamentali del loro esordio su LP, nel 1979, con ‘Unknown Pleasures’: ed è un gioiello nero.

Dieci brani da brivido, il malessere dell’uomo e il nichilismo fatti musica; gelidi sin dalla copertina, un elettrocardiogramma bianco su sfondo nero e nulla più, gelidi ancor di più nelle note, basti pensare a pezzi come Disorder e Day of the Lords, con quel basso sordo e compatto, o ancora al senso di anestesia che ispirano Candidate o New Dawn Fades, e anche quando il ritmo si fa più serrato, come in Shadowplay o Wilderness, i brani che più si avvicinano al punk e alle prime composizioni del gruppo, senti comunque che c’è qualcosa di diverso, qualcosa di strano e inesplicabile, come una presenza spiritica in sottofondo.

Con l’uscita dell’album il nome Joy Division comincia a circolare seriamente nel mondo degli addetti ai lavori: Ian Curtis compare per un paio di volte in copertina su NME, e il gruppo diventa una testa di serie a Manchester, grazie anche ad un lungo tour come spalla ai Buzzcocks, nel quale finiscono per diventare l’attrazione principale.

Le condizioni del leader vanno però sempre peggiorando, non solo per i sempre più frequenti attacchi di epilessia, ma anche per i suoi problemi familiari: la moglie, Deborah Curtis (autrice della biografia uscita postuma, una decina d’anni fa), viene a sapere della sua relazione con una groupie della band, relazione alla quale Ian sembra dare sempre più peso, e l’impossibilità di scegliere una strada netta, o la moglie e la figlia o l’amante, lo portano sull’orlo del baratro, e proprio il giorno prima di partire per una lunga tournee negli USA, decide di farla finita impiccandosi in casa, il 17 maggio del 1980.

La leggenda vuole che prima di morire abbia visto il film “La ballata di Stroszek” di Werner Herzog, e che al momento del ritrovamento, la mattina successiva, ‘The Idiot’ di Iggy Pop girasse ancora sul giradischi: vero o no, l’unica cosa certa era la perdita di una grandissima figura, un poeta decadente dei nostri tempi, e di uno dei più grandi gruppi della storia del Rock tutto.

Quel malessere che ha accompagnato Ian negli ultimi mesi della sua vita è possibile sentirlo in ‘Closer’, uscito poco dopo la sua morte: i temi e le sonorità sono gli stessi di ‘Unknown Pleasures’, solo meglio curati dal punto di vista degli arrangiamenti, se possibile più ripuliti, e che abbracciano un più ampio ventaglio sonoro; secondo e ultimo capolavoro dei Joy Division, con perle quali Isolation, A means to an end , Heart and Soul e Decades, solo per citarne alcuni… rimane il rimpianto per quello che ancora avrebbero potuto esprimere, e a nulla valgono nè le infinite raccolte postume uscite dall’ 80 in poi, con le prime incisioni della band, sin dal tempo dei Warsaw, nè il lavoro fatto in seguito dai tre restanti membri del gruppo, che per rispetto cambiarono il nome in New Order, per avventurarsi quasi da subito in altri territori, quelli dell’elettronica: da ricordare comunque la creazione da parte di Sumner (leader della nuova band) e soci dell’ Hacienda, che alla fine degli anni ’80 diventerà il punto cardine della scena cittadina, e per un breve periodo porterà a consacrazione la favolosa “Madchester” come capitale mondiale della musica … ma anche questo è un altro discorso.

Componenti:

– Ian Curtis (voce)

– Bernard Sumner (chitarra)

– Peter Hook (basso)

– Steve Morris (batteria)

Discografia:

– Unknown Pleasures (Factory, 1979)

– Closer (Factory, 1980)

– Still (Factory, 1981)

– Substance (Factory, 1988)

– Permanent (London, 1995)

– Les Bains Douches

Links Utili e altro:

Joy Division Central

– Incubation

– Shadowplay

– Joy Division

– The Eternal

– Ondarock

– “Così vicino, così lontano: la storia di Ian Curtis e dei Joy Division”, Deborah Curtis (Giunti, 1996)